mercoledì 5 ottobre 2016

3 giorni sul sentiero Roma - I giorno

Il sentiero Roma è un tracciato escursionistico già in voga negli anni ’30 che unisce Novate Mezzola, in Valchiavenna, con Chiesa in Valmalenco. Per fare ciò, dopo aver risalito la lunga e selvaggia val Codera, attraversa per intero l’impervia e spettacolare testata della val Masino, passando ai piedi di colossali montagne quali i pizzi Badile, Cengalo e del Ferro, la cima di Castello, la punta Rasica, i pizzi Torrone e, infine, costeggiando da S il monte Disgrazia, che coi suoi m 3678 è la montagna più alta della regione. Il tragitto supera i 60 km e i 4500 metri di dislivello positivo.
Il sentiero Roma viene per convenienza suddiviso in 5 tappe: Novate Mezzola - rifugio Brasca, rifugio Brasca - rifugio Gianetti, rifugio Gianetti - rifugio Allievi, rifugio  Allievi - rifugio Ponti, rifugio Ponti - Chiesa in Valmalenco. Nel suo sviluppo presenta passaggi attrezzati di discreto impegno e piuttosto esposti, pertanto è adatto solo a escursionisti esperti e con un minimo di pratica alpinistica. È vivamente sconsigliato nel periodo invernale in quanto alcuni tratti, quali l’attraversamento del passo del Camerozzo, risulterebbero con neve e ghiaccio alquanto laboriosi e arrischiati.

Al passo del Cameraccio (m 2950), il punto più alto del sentiero Roma

Veniamo a noi.

Le Montagne Divertenti descriverà il sentiero Roma nei numeri del 2017 e 2018, così dobbiamo andarlo a provare e raccogliere immagini e impressioni sul posto.

I rifugi sono aperti nel periodo estivo, ma le migliori condizioni fotografiche si hanno in autunno, quando l’aria è più tersa e le luci sono radenti. Perciò partiamo a ottobre, nella consapevolezza che dovremmo affidarci ai soli locali invernali, ai bivacchi e portarci tutte le provviste sulle spalle. Per quest’ultima ragione decidiamo di condensare l’avventura in 3 giorni, costringendoci così a giornate da oltre 10 ore di marcia, ma con zaini un po’ più leggeri.
Il mio, in particolare, con cibo, fornelletto, pentola, attrezzatura foto, ramponcini per scarpe da trekking, vestiti di varia grammatura, calze e magliette di ricambio, frontalino, guanti,crema da sole, occhiali… cioè tutto ciò che è indispensabile, pesa 12 kg. Non abbiamo con noi nulla da bere se non una thermos che riempiremo quando troveremo dei ruscelli.
Per la logistica ci affidiamo ai mezzi pubblici, questo non solo per questioni di coscienza ambientale, ma specialmente per risparmiare tempo e denaro: dalla stazione Sondrio dalle 5 di mattina alle 8 di sera parte un bus o un treno ogni ora che in 1/1:30 ore porta a Novate. Il prezzo è di 5,4 € per il bus e di 5,5€ per il treno, molto meno che in auto e, per di più, senza la scocciatura di dover tornare a recuperare il mezzo alla fine della gita. Da Chiesa, infine, ci sono bus per Sondrio fino alle 18.30.

Sarebbe sciocco usare l'auto.

Durante la gita abbiamo testato le Adidas Terrex Fast, una scarpa da trekking con una suola super performante in termini di aderenza. La prova è andata bene, anche quando si è trattato di ramponare la scarpa in tratti con neve e ghiaccio, tuttavia nel caso di un trekking così impegnativo sconsiglierei una tale scelta ai meno preparati in quanto nell’attraversare pietraie e terreni molto sconnessi si rischia, con una calzatura bassa, di farsi male a piedi e caviglie. La protezione offerta da uno scarponcino è migliore, anche se va a scapito della leggerezza.



5 ottobre 2016
Con Gioia sono alle 5:45 alla stazione dei bus di Sondrio, dove saliamo su quello per Chiavenna che alle 7 fermerà a Novate. Il bus è deserto, ma l’autista già ci avvisa di metterci vicino alla porta posteriore perchè diventerà presto pieno di studenti. Il fatto ci sorprende, ma si avvera, perchè da Castione in poi numerosi ragazzi salgono diretti alla volta di Chiavenna. Hanno una bella forza di volontà nel sobbarcarsi tutti i giorni tutte quelle ore di corriera che, per quelli che salgono da Morbegno in avanti, è obbligatoriamente in piedi.
Appena rischiara quando veniamo depositati a Novate (m 200). Raggiunta la chiesa e bevuto un caffè nel bar che sempre accompagna i luoghi di culto, dritti a N, su via Roma, puntiamo alla della val Codera. Via Roma diventa via Mezzolpiano e dopo 15 minuti siamo al piazzale sterrato da cui ha inizio il sentiero per Codera. Una selva di cartelli offre informazioni su apertura e contati di rifugi e ostelli. Ne deduciamo che l’unico oggi aperto è il Bresciadega, a 3 ore di marcia.
Una tortuosa scalinata tra castagneti ci consegna al cartello che sconsiglia di sostare nel successivo traverso (dx) sotto un’alta parete di granito da cui non è raro si stacchino dei sassi. Una ruspa arrugginita ci indica la presenza di una cava dismessa, quindi una breve salita con bella vista sul lago di Mezzola e sul dirimpettaio borgo di San Giorgio, ci accompagna ad Avedé.  Avedé è diviso in due nuclei, di cui l’inferiore presenta minuscole casette sparse nel bosco, e quello superiore edifici più grandi, stretti gli uni agli altri a formare una sorta di barriera che si affaccia a un ampio prato lasciato inselvatichire dall’abbandono. DI fatto, dopo aver fin qui guadagnato quota, ci stiamo solo ora intruffolando nella val Codera, l’ultima grande valle della provincia di Sondrio senza strade, senza fretta, ma ancora piuttosto frequentata e amata specialmente da chi ha sistemato e continua a vivere, seppur solo in ristretti periodi dell’anno, la casa ereditata dai propri antenati.
Da Avedé la mulattiera perde quota per passare, dentro una lunga galleria che ripara da sassi e slavine, ai piedi di una liscia placconata. Una salita, il cimitero ed eccoci nella piazza di Codera (m 825, ore 2).
Visita al paese, dove ancora un uomo risiede tutto l’anno, e insistiamo verso E nel fondo della valle. All’arrivo della funicolare ha inizio la strada sterrata deputata allo smistamento di merci e materiali nei vari nuclei sparsi nella valle.
Lungo la carrozzabile incontriamo varie persone intente in lavori di manutenzione o dirette alla propria baita. Superiamo Saline e Stoppaddaura, per arrivare a Bresciadega (m 1214, ore 1:30), dove nell’omonimo rifugio troviamo l’accoglienza di Anselmo Nonini, classe 1932, che, congedati due amici, ci prepara un té caldo mentre ci scaldiamo davanti al camino. Mi dò più volte del cretino per esser giunto fin qui in braghine e maglietta, convinto che il sole ci avrebbe presto fatto dimenticare il vento freddo. Ma così non è stato perchè, come ci spiegherà il gestore, le ore di luce iniziano a diventare poche e quando lui chiuderà la stagione, a novembre, qui al rifugio di sole non ne arriverà più già da una decina di giorni. Anselmo, gentile e minuto, robuste mani segnate dal lavoro, profondi occhi azzurri che si accompagnano a capelli bianchi ben pettinati all’indietro, lineamenti rassicuranti e a una voce pacata, ci racconta del sole, della Seconda Guerra Mondiale, che lui ha vissuto che era già adolescente, dell’incendio di tutte le baite di “Bresciàdiga” da parte dei Nazifascisti nel 1944, del fatto che qui fino all’inizio degli anni ’80 c’erano ampi pascoli e molte mucche. Ci fa infine  l’in bocca al lupo per la lunga gita che ci attende e che anche lui ha già fatto e apprezzato: «Quest’anno sarete gli ultimi a fare il sentiero Roma!»
Lasciato il rifugio incontriamo il sole e ci lasciamo accarezzare i volti per qualche minuto, mentre freneticamente cerco di prender nota sul taccuino di tutte le informazioni ricevute.
Mezz’ora e siamo al rifugio Brasca, dove un gruppetto di uomini non più giovanissimi ma molto allegri chiacchiera animatamente.
Poco a O del rifugio c’è il cartello che segnala l’imbocco del sentiero per il passo del Barbacan. Lo prendiamo in tutta la sua ripidezza. Il tracciato, che ben tenuto e a tratti scalinato, prende decisamente quota nel bosco, superando il ripido accesso alla valle d’Averta. A m 1900 usciamo dal bosco e con un ampio arco da dx a sx raggiungiamo le abbandonate baite dell’Averta (m 1957, ore 1:50), L’alpeggio, un tempo sfruttato dalle genti di Codera, è diviso in due nuclei. Quello inferiore, al margine di una pietraia, conta molte piccole baite che si confondono con l’ambiente circostante e assomigliano quasi a dei trulli. Il gruppo di baite superiori, una decina e un po’ più grandi si trovano su una breve dorsale erbosa che termina con un poggio panoramico dotato di croce e da cui si può ammirare l’intera val Codera. Accanto alla croce vi sono un rudimentale tavolino e delle massicce panchine di roccia, che utilizziamo per il pranzo.
In alto, a chiudere la valle Averta, vi sono i pizzi dell’Oro e la cima del Barbacan, divisi dall’inconfondibile guglia della punta Milano, alla cui dx è il passo dell’Oro. Lo attraversa chi vuole raggiungere il rifugio Omio. Noi invece ci avvarremo del valico a sx della cima del Barcan e che prende il nome di Barbacan settentrionale, una breve sella in cima a un canale di sfasciumi ben 700 metri più in alto di noi. E così, alle quasi 2 ore per salire dal Branca all’Averta, ne dobbiamo aggiungere altre 2 per guadagnare l’accesso alla val Porcellizzo. La via, ora meno comoda, si snoda tra macereti e magri pascoli d’alta quota, per concludersi, oltre il bivio per il passo dell’Oro, su una sdrucciolevole pietraia. Siamo all’intaglio del passo del Barbacan (ore 2) che sono le 4:30 di pomeriggio. Il vento gelido ci incalza, mentre le ombre delle cime di Barbacan e dell’Averta si allungano sulla valle Porcellizzo quasi a volerci indicare la direzione per il rifugio Gianetti, una casupola grigia con infissi e tetto rossi adagiata a m 2500 nel mezzo della valle, all’incirca a S del pizzo Badile.
Il cammino è ancora lungo, perchè dopo aver perso circa 150 metri di quota, dobbiamo fare un po’ di su e giù tra pascoli e pietraie che allunga un po’ i tempi che uno supporrebbe guardando dal passo il rifugio.
Siamo alla Gianetti (ore 1:15) con l’ultimo sole. Dietro il rifugio si trova la piccola struttura in muratura del rifugio Piacco, che altro non è che il locale invernale della Gianetti.
Sono passate 10 ore da quando il pullman ci ha lasciato a Novate, 26 km e 2700 metri di dislivello fa.
Non c’è nessuno, quindi depositiamo gli zaini e andiamo in cerca di acqua per un bagnetto frugale e per la cena: risotto allo scoglio liofilizzato e due scatole di sgombri.
Mentre nella piccola pozza a NE del rifugio ci stiamo rifornendo d’acqua, vediamo spuntare alle pendici del Badile tre alpinisti, probabilmente reduci dallo spigolo N. Le nostre preghiere che non si fermino vengono accolte, e svelti come sono apparsi a monte, si dileguano a valle, lasciandoci l’intero rifugio per una notte al sicuro da possibili coinquilini che russano come orsi o che scoreggiano come gli abitué della fiera della castagna.
Alle 8 abbiamo già cenato e, spinti dal freddo, dopo alcune foto notturne ai giganti della val Porcellizzo, ci scaviamo la nostra tana sotto un mucchio di coperte in quanto anche dentro al bivacco la temperatura è negativa.

Punto l’orologio alle 7, perchè domani abbiamo appuntamento col Roby Ganassa alle 10 al bivacco Molteni-Valsecchi e quassù, senza possibilità di dar disdetta e con climi così rigidi, la puntualità non è solo cortesia, ma anche dovere.

Sulle scalinate sopra Novate.
Sul sentiero per Codera.
Codera e il monte Gruf.
Il rifugio Bresciadega, aperto da aprile a novembre, è l'unico esercizio aperto in alta val Codera anche fuori stagione.
Anselmo Nonini, classe 1932, storico e cortese gestore del rifugio Bresciadega.
Le baite dell'Averta.
La punta Milano, al centro, e i pizzi dell'Oro ,a dx, dall'Averta.
Lungo il sentiero per il Barbacan, prima che il vento ci geli le ossa.
Le ultime pietraie per il Barbacan. Sullo sfondo la val Codera.
Al passo del Barbacan.
In val Porcellizzo, diretti alla Gianetti. Sullo sfondo Badile, Cengalo e Gemelli.
Le cime della val Porcellizzo specchiate in una piccola pozza sopra la Gianetti.




Nessun commento:

Posta un commento