venerdì 7 ottobre 2016

3 giorni sul sentiero Roma - III giorno

L'alba tersa ci invita a uscire dal bivacco. Le nebbie si sono sciolte, ma tutte le pietraie sono coperte di verglass. 


Salendo alla bocchetta Roma.
Ci aspettano la bocchetta Roma e il passo di Corna Rossa, dopo di che, persi 600 metri di quota abbandoneremo la monotonia delle pietraie per tuffarci nei boschi e nelle pietraie della Valmalenco.


Base cartografica tratta da www.swisstopo.ch.

7 ottobre 2016
Alle 8 siamo in piedi ancora infastiditi dall'odore di vomito che c'è nel bivacco. Veloce colazione e ci separiamo dal Roby Ganassa che rientrerà su San Martino.
Sceso (S) il cordolo morenico su cui sorge il bivacco Kima, presso un laghetto, ne orliamo la fronte (sx, E). Quindi tra grandi blocchi riguadagniamo qualche metro di quota. Si scivola da maledetti e dobbiamo stare molto attenti a non farci male. Seguendo i numerosissimi bolli traversiamo verso SE puntando al nevaietto che sta alla base della parete che porta alla bocchetta Roma. Lo raggiungiamo (1 ora dal bivacco) e calziamo subito i ramponcini perché la neve è dura come marmo. Trovarsi qui sprovvisti di attrezzatura potrebbe rivelarsi molto pericoloso.
Al dritto saliamo verso la barra di rocce e afferriamo le catene. Neve dura e ghiaccio foderano il granito, ma sono di una consistenza tale da fare aderire perfettamente i ramponcini. In men che non si dica, sospinti anche dalla bisa, siamo alla bocchetta Roma (m 2898, ore 1:30 dal bivacco Kima), dove veniamo accolti dal sole. Ci rifugiamo pochi metri sotto cresta, al riparo dal vento che ci ha gelato le mani lungo tutta la salita.
Il Digrazia è spruzzato di neve fresca, mentre la valle di Peredarossa ne è priva. A S tra le pietraie seguiamo per un po' i bolli, poi ce ne separiamo per effettuare una breve variante e approdare sulle rive di un modesto laghetto in cui si specchia il Disgrazia. In breve rieccoci sul sentiero e al rifugio Ponti (m 2559, ore 0:50).
Attraversiamo la valle di Predarossa (E) scavalcando la morena occidentale del ghiacciaio. Quand'ero bambino per andare dalla Ponti alla Desio si doveva passare sulla lingua del ghiacciaio, che ora benché fuggito parecchie centinaia di metri più in alto, pare condannato a un rapido disfacimento. Il grigio granito lascia il posto al serpentino mentre guadagniamo quota sulle instabili pietraie dell'orografica sx. Tra blocchi rossastri e rottami più minuti ed instabili, zigzaghiamo fino a sbucare al passo di Corna Rossa (m 2836, ore 1:15). Alle nostre spalle torna a far capolino il pizzo Torrone Orientale, tra i più belli della val Masino con la sua slanciata forma piramidale.
La Desio si trova pochi metri a NE del valico e versa in condizioni precarie. Qualcuno ha forzato la porta che è aperta. Ne approfitto per fare un giro dentro il rudere. Spartano era da funzionate, spartano affronta il declino. Le crepe sul muro posteriore sono varie ed evidenti, specialmente dove lacerano l'intonaco bianco. La metratura è scarsa, pur sviluppandosi in due piani. Vien da chiedersi come facessero gestore, personale, provviste e fruitori a riuscire ad alloggiarvi, ma quando qui c'era vita anche a me pareva fosse tutto più grande.
Nelle ultime stagioni della sua gestione, alla Desio ci lavorava anche una mia compagna delle scuole medie, Maria Forni. Fu proprio una gita alla Desio con mio padre l'ultima volta che la vidi. Alle medie era la più brava in italiano, con una sensibilità superiore a tutti noi altri. Ad un recente ritrovo dei coscritti ho saputo che Maria se n'è andata nei primi anni 2000, vittima di quella sua stessa ipersensibilità.
Salgo le scale pericolanti e arrivo al piano superiore. Ci sono gli assiti dei letti. I vetri serramenti sono mezzi rotti e le ante vengono percosse e sbattute dal vento.
Torno all'aperto con Gioia e mentre ci gustiamo il pranzo veniamo raggiunti da una coppia di lettori de le LMD che stanno facendo il giro dei Corni Bruciati. Ci presentiamo, lui è Marco Bonati, il primo nel 2016 a compiere tutti i "Percorsi di corsa".
Scendiamo in centro alla valle tra grossi blocchi di serpentino. Il cielo è nuvoloso e l'atmosfera tetra. Con un arco da dx a sx raggiungiamo la strozzatura a m 2569 e ci portiamo in sx orografica della valle Airale. A m 2200 vi è un primo ripiano dove la vegetazione prende il posto delle pietraie, che vengono definitivamente soppiantati da alberi e prati al successivo ripiano (m 2100) , al termine del quale, in posizione leggermente rialzata e sulla dx idrografica fa capolino il rifugio Bosio (m 2097, ore 2). L'ambiente è a dir poco incantevole. Il torrente scorre placido nella piana, mentre all'orizzonte si profilano le cime della val di Togno.
Dalla vicina alpe Airale ha inizio la carrozzabile sterrata per l'alpe Lago (m 1614, ore 1:30), quindi tagliando per il sentiero tocchiamo località Dosselli e di lì, per altro sentiero, siamo in centro a Chiesa in Valmalenco (m 1000, ore 1:30) dove, proprio davanti al negozio di articoli sportivi Maiuk vi è la fermata dell'autobus che ci riporterà comodamente a Sondrio.



L'alba al bivacco Kima.
Coi ramponcini su per il nevaio ai piedi della bocchetta Roma.

Sulle roccette attrezzate per la bocchetta.

Alla bocchetta Roma, tra val Cameraccio e valle di Preda Rossa. Al centri il Disgrazia.

Scendendo alla Ponti.

Il laghetto sopra la Ponti.
Il rifugio Ponti.

Verso la sella del passo di Corna Rossa.

Attraversando la valle di Predarossa. Sullo sfondo le Alpi Orobie.
Salendo verso il passo di Corna Rossa.


Il pericolante rifugio Desio, abbandonato dal 2001 in seguito al palesarsi dei primi cedimenti strutturali nel muro posteriore.

Il piano superiore del rifugio Desio. A mio avviso sarà sufficiente un anno particolarmente nevoso affinché la struttura crolli. Dato l'avanzato deterioramento, per ristrutturarla andrebbe abbattuta e ricostruita.

Scendendo nella valle Airale, Sulla dx la cima di Postalesio.

In valle Airale osservando la netta cesura tra i verdi micascisti e le rocce serpentinose con evidenti tracce di minerale ferroso.

Il greto del torrente torreggio nei pressi del rifugio Bosio.

Il ponte sul torreggio presso la Bosio.

Il rifugio Bosio.

Lungo la strada Airale- alpe Lago.

L'alpe Lago.

Chiesa in Valmalenco.


giovedì 6 ottobre 2016

3 giorni sul sentiero Roma - II giorno

Sveglia che è ancora notte in Gianetti per andare a incontrare il Roby Ganassa in valle del Ferro e con lui proseguire, lambendo le rive di uno sconfinato mare di nebbie che di tanto in tanto ci ingoia, fino al bivacco Kima. 
Cartolina del Disgrazia dal passo del Cameraccio, il punto più alto del sentiero Roma.
Scenari e luci incredibili tra infinite pietraie, passi attrezzati e ai piedi di vertiginose pareti.
La tappa di oggi, che ci ha preso circa 11 ore di marcia - foto incluse - ha uno sviluppo di oltre 20 km e un dislivello di oltre 1000 metri su terreno per lo più costituito da scomode pietraie.

Dalla Gianetti al bivacco Kima (base swisstopo.ch).

6 ottobre 2016
Alle 7 saltiamo in piedi, spinti più che dal debole suono dell’orologio, dalla suoneria della vescica che si lamenta perchè, per non uscire a -10°C, abbiamo trattenuto la pipì tutta la notte.
Dopo una rapida colazione col té caldo che avevamo preparato ieri sera - lodato chi ha inventato la thermos - ci incamminiamo - sempre sia lodato. Fuori c’è un immenso mare di nebbie che lambisce le fondamenta del rifugio e ci regala un’alba surreale. Siamo tutti bardati per affrontare l’aria pungente del mattino mentre le onde si nebbia si infrangono contro la scogliera di granito. Sembra di essere al mare, solo che tutto si muove con estrema lentezza, quasi che il freddo possa rallentare l'imperturbabile scorrere del tempo.
Attraversata la parte orientale della val Porcellizzo su una traccia resa insidiosa dal verglass, perdiamo un po’ di quota per aggirare le propaggini meridionali dei pizzi Gemelli. Ripresa l’ascesa, dopo alcuni passaggi attrezzati e circa 300 metri di dislivello, siamo al passo Camerozzo. La valle da cui proveniamo è tutta al sole e si è liberata dalle nebbie. Inaspettatamente però la valle del Ferro, a cui siamo diretti, è letteralmente sommersa dalle nubi. Il Roby dev’essere là sotto e probabilmente penserà che è una giornata di merda, quando invece sopra i m 2500 è sereno.
Scendiamo lungo una prima cengia che obliqua da N (sx) a S (dx), poi ne percorriamo una seconda che riporta a N, entrambe con passaggi esposti attrezzati con catene e pioli talvolta coperti di ghiaccio: probabilmente questo è, assieme alla salita alla bocchetta Roma, il tratto più impegnativo del sentiero Roma. Negli anni vi ho visto più volte gente talmente terrorizzata da pensare che in quelle catene metalliche, da cui parevano non potersi mai staccare, vi fosse la corrente elettrica. In realtà, come spiego a Gioia che - pure lei - si sta troppo affezionando agli ausili metallici, questi 150 metri di precipizio che abbiamo sotto i piedi sono un inutile accanimento terapeutico della signora con la falce: solo con 30 metri di volo potrebbe già star tranquilla dell'esito fatale di una caduta! Scherzi a parte, a meno di non tuffarsi nel vuoto, su una via così ben attrezzata non vi è la benché minima possibilità di un incidente fortuito.
Alla base della parete che protegge il passo riprendiamo una marcia più rilassata, lambendo il lago di nebbia e chiamando il Roby che deve esserne ancora sommerso. Una voce più grave delle nostre ci risponde e ci assicura della sua presenza all’appuntamento.
Nel centro della valle c’è il bivio per il bivacco Molteni, una scatola di lamiera rossa che si trova 10 minuti più in basso del sentiero Roma.
Con un po’ di ritardo rispetto all’ora stabilita ecco che il Roby ci raggiunge: stamattina non si è svegliato e ha dovuto fare di corsa i 1600 metri di dislivello che separano San Martino da qui.
La porzione orientale della valle del Ferro, che attraversiamo per il passo del Qualido, è bagnata da un paio di ruscelli che scorrono su vaste e variopinte placconate di granito. L’acqua è ghiacciata e luccica alla luce di un sole ritrovato dopo il ritiro delle nebbie. Una salita decisamente più breve del Camerozzo ci porta al passo del Qualido, da cui una discesa senza particolari difficoltà ci accompagna nella valle omonima, una valle molto particolare in quanto alla sua testata non vi sono cime, mentre nella sua parte inferiore si alzano le più impressionanti pareti di tutto il Masino.
Da qui in avanti tutti i passi che incontreremo prenderanno il nome della valle a cui danno accesso facendo il sentiero Roma da O a E, e così fino alla bocchetta Roma, dalla quale non si avviva nella capitale, ma bensì nella valle di Predarossa.
Giù e poi su, senza troppa fatica, al passo dell’Averta, da cui l’Allievi par vicina. Dobbiamo però ancora aggirare lo sperone meridionale della cima di Zocca e accedere alla valle omonima di cui la valle Averta è un ramo secondario.
Sono 6 ore che siamo in marcia e, pochi metri a N del rifugio, nei pressi della presa dell’acqua, consumiamo il nostro pranzo: bresaola, arachidi e a caso le prime pietanza che escono, quasi stessimo facendo una tombola, dal sorteggio nella sacca del cibo. Abbiamo sete, ma l’acqua gelida del ruscello non è troppo invitante. Le nebbie si avviluppano sulla testata della valle e si mangiano noi, il sole e la cima di Zocca, ovattando l’atmosfera e rendendo gelida la sosta per digerire. Nonostante tutto ci addormentiamo e passa un 'ora prima che il buonsenso ci desti dal sonno.
Al primo cenno di dissoluzione delle nebbie, ripartiamo alla volta del passo di val Torrone, da cui perdiamo 150 metri di quota, entriamo nella valle omonima e ci apprestiamo alla lunga e faticosa salita al passo del Cameraccio. Per farla più breve ignoriamo la deviazione che, dopo alcuni incidenti mortali - tra cui quelli occorsi a Marina Moreschi (27-10-1962 / 21-08-2005) durante il trofeo Kima  e al 56enne Giuseppe Galbiati nel 2013 - , porta ad allungare di circa 15 minuti il tracciato escursionistico. Ciò per aggirare dal basso la breve placca, pericolosa qualora bagnata dal rigagnolo che vi scorre sopra, dalla quale sono scivolati gli sfortunati escursionisti.
Non si vede nulla: ci orientiamo semplicemente cercando di andare sempre in salita. 650 metri di dislivello e dovremmo incontrare le catene che portano al passo che coi suoi m 2954 è il punto più alto del sentiero Roma. Il cammino è reso disagevole dal fondo instabile. Nella valle del Torrone una volta c'era un nevaio, che ora ha lasciato il posto a una pietraia mobile e insidiosa. 
Uno squarcio nell'umidità che ovatta il paesaggio fa apparire l'inconfondibile lancia del pizzo Torrone Orientale, che ci restituisce la bussola ora che di bolli non ce ne sono più fino alle roccette attrezzate alla base del passo. A pochi metri dal valico, finalmente, emergiamo dal lago di nubi e, incorniciato dai numerosi ometti di pietra del passo, ci appare sua maestà il Disgrazia. Sembra un vulcano in mezzo al mare, solo che nessuno ha ancora inventato una zattera che galleggi su un lago di nubi. Peccato: la faticosa traversata delle gande della val Cameraccio ce la saremmo volentieri evitata!
Il tramonto è spettacolare e ci fa per un attimo dimenticare quanto noiose siano queste pietraie in cui il sentiero Roma non è affatto un sentiero, ma solo un caotico susseguirsi di bolli tra scomodi massi.
All'odio per un fondo così sconnesso, si contrappone la tristezza perché questo sarà l'ultimo tramonto di questa nostra avventura sulle montagne di val Masino.
Così faccio accedere il frontalino a Gioia e con il diaframma a f 9.0 le faccio un bel controluce al tramonto con la sua silhouette e quella della costiera del Cameraccio che si stagliano contro il rosso del cielo.
Siamo al Kima che è notte. Il piccolo bivacco è il luogo più accogliente che avremmo potuto desiderare, eccezion fatta per la puzza di vomito di un qualche escursionista che non deve esser riuscito a raggiungere la porta prima che il suo esofago eruttasse.
Non c'è verso di cambiar l'aria; pazienza, ci tapperemo i nasi!
Al Kima tutto è comodo, tranne l'acqua che devo andare a prendere a 10 minuti di cammino nell'unico ruscello che il freddo d'ottobre non ha gelato. Il ritorno con la pentola colma tra le gande mobili è una grossa prova di abilità, ma la supero e così ci garantiamo té e cena.
Quest'ultima è a base di minestrone e cose a caso pescate dal sacchetto del cibo oramai molto smagrito. Qualche soldo lasciato nella cassetta delle offerte per ricambiare dell'ospitalità (chi avesse bisogno di consumare le provviste offerte dal rifugio trova un dettagliato listino prezzi!) e ci infiliamo nei letti al piano mezzano, dove la puzza è più sopportabile. 
La notte scivola via tranquilla, innanzitutto perchè fuori è nuvoloso e le nuvole pare abbiano esorcizzato il Roby Ganassa dal demone di far foto notturne, inoltre perchè il bivacco Kima è ben isolato e al suo interno non fa affatto freddo.

L'alba in Gianetti, sulle rive di un'agitato mare di nebbie.

Salendo al passo del Camerozzo.

Al passo del Camerozzo.
La valle del Ferro invasa da un mare di nubi vista dal passo del Camerozzo.
Il tracciato di discesa dal Camerozzo verso la valle del Ferro.
Discesa dal Camerozzo.
Passaggi attrezzati scendendo dal passo del Camerozzo. La suola Continental che stiamo testando aderisce perfettamente alla roccia dando molta sicurezza: promossa.






































Lungo la parete a E del passo del Camerozzo.
Nella porzione occidentale della valle del Ferro.
Il bivacco Molteni-Valsecchi, sulle rive di un agitato mare di nubi.
Torrenti gelati alla base dei pizzi del Ferro.
Attraversando i ruscelli ghiacciati nella valle del Ferro.
Il ghiaccio ritratto a tutt'apertura del diaframma. Se ci si concentra sulla parte dx dell'immagine si osserverà un emozionante effetto di tridimensionalità regalato da questa particolare scena.
Al passo del Qualido.
Il Disgrazia dal passo del Qualido.
Cima di Castello, punta Rasica e pizzi Torrone scendendo dal passo del Qualido.
Una bella cornice per la cima di Zocca (foto Gioia).
Il passo del Qualido da E.
Verso il passo dell'Averta.
Al passo dell'Averta.
Avvicinamento al rifugio Allievi-Bonacossa.
La cima di Zocca dai pressi del rifugio Allievi.
Al passo di val Torrone.
Salendo in val Torrone. Dalle nubi emerge la lancia del superbo pizzo Torrone Orientale (m 3333).
Le catene per il passo del Cameraccio.
Alcuni pioli agevolano la salita al passo del Cameraccio.
Cartolina dal passo del Cameraccio, il punto più alto del sentiero Roma.
L'anticima N del pizzo Cameraccio dalla sua cresta N.
Fotografo al passo del Cameraccio.
Tramonto in val Cameraccio. Per ottenere l'effetto stellato con pila frontale si deve chiudere il diaframma a f 9.0 e, se si vuole fare la foto con macchina in mano, si devono alzare gli iso almeno a 1600.
Notte di nebbia al bivacco Kima.
L'accogliente bivacco Kima: 12 posti letto con coperte, tavolo, fornelletto, dispensa ben fornita e stufa con legna in caso di emergenza.