lunedì 27 ottobre 2014

Traversata in cresta dalla Pesciola (m 2168) al pizzo del Druet (m 2868) passando per la cima della Foppa (m 2851) e i Cagamei (m 2913)

Pizzo del Druet. Sguardo sulle creste appena attraversate.
È una traversata grandiosa, che ripercorre le gesta di alpinisti come A. Corti, A. Bonola, G. Foianini, B. Melazzini, A. Gualzetti e, maledetto il vizio di scrivere sulle guide CAI-TCI i nomi delle persone con l'iniziale puntata! Siamo nella selvaggia val d'Arigna, al confine con val Malgina prima e val Morta poi.


La traversata che abbiamo compiuto ritratta in una fotografia di Riccardo Scotti.

La cresta che percorreremo corre rocciosa e frastagliata, turrita e incisa da selvaggi intagli, e abbraccia l'intero circo del Vagh - dal pizzo di Faila al pizzo del Druet. Su di essa si individuano due tratti spettacolari: la cresta N della cima della Foppa e la traversata da quest'ultima alla cima Occidentale di Cagamei. Sono ingaggi per stomaci forti in quanto alle difficoltà su roccia che arrivano al V grado, si sommano tratti affilatissimi e friabili che richiedono estrema dimestichezza con i famigerati scisti orobici.



Partenza: centrale Falck di Armisa in località ca Pizzini (m 1041).
Itinerario automobilistico: da Sondrio si prende la SS38 in direzione Tirano. Appena prima di Chiuro, in località Casacce (5 km dalla fine della tangenziale di Sondrio), si esce a dx in direzione di Arigna/Briotti. Si attraversa l'Adda e si segue la strada comunale per Arigna/Briotti fino in località Fontaniva (km 14 da Sondrio) dove c'è un trivio (tornante). Si va dritti senza fare la curva e ci si addentra in val d'Arigna per un paio di chilometri fino alla centrale di Armisa, dove si parcheggia. 
Itinerario sintetico: centrale di Armisa (m 1041) - Foppe (m 1360) - passo della Pesciola (m 1965) - Pesciola (m 2168) -  - bocchetta (m 2451) - cima della Foppa (m 2851) per la cresta N - cima Occidentale di Cagamei (m 2913) - bocchetta del Vagh (m 2780) - pizzo del Druet (m 2868) - passo del Druet (m 2756) - vallone delle Fascere - alpe Druet  -  Foppe (m 1360) - centrale di Armisa (m 1041).
Tempo previsto: 14 ore per l'intero giro.
Attrezzatura richiesta: corda (30 m), casco, imbraco, qualche protezione veloce, cordini, fettucce, ramponi e piccozza (che in condizioni favorevoli potrebbero non servire).
Difficoltà/dislivello: 5- su 6 (valutazione fatta in base alle condizioni trovate oggi) / oltre 2300 m.
Dettagli: D. Itinerario molto lungo su creste a tratti molto esposte e friabili.Occorre molta dimestichezza con questo tipo di terreni.  Un paio di passi di V. Tratti più impegnativi: seconda torre sulla cresta N della Foppa e traversata della seconda elevazione che c'è tra Foppa e Cagamei. Nella nostra gita di fine ottobre abbiamo trovato in qualche punto le rocce gelate e il freddo non ci ha certo aiutato nella progressione. 
Mappe: Kompass foglio n.104, 1:50000.


Finalmente si è chiusa la stagione delle gare e, con le gambe ghisate dalla discesa del Trofeo Vanoni, inizio a camminare nella penombra assieme al Caspoc. Dalla centrale di Armisa raggiungiamo le Foppe, quindi per sentiero bollato attraversiamo il bosco di larici e un primo strato di nebbie che ci porta alla simpatica conca della Pesciola, dov'è il rifugio. Sopra di noi ancora nebbie. Chissà se ne emergeremo mai!
Il terreno è gelato, pieno di brina e i sassi sono ghiacciati e scivolosi.
Dal rifugio proseguiamo verso S in una specie di valletta a ridosso della dorsale che separa val Malgina e val d'Arigna emergendo finalmente dal lago di nebbia a circa m 2050. Seguono una serie di elevazioni erbose che ci portano ai piedi del pizzo di Faila, una sorta di pilastro d'angolo della cresta.
C'è molta confusione sulla toponomastica di quest'area e anche la croce del pizzo di Faila è stata posta su una più modesta cima situata più a settentrione della dorsale.
Fatto sta che evitiamo sia una che l'altra elevazione, scendiamo per tracce di sentiero in val Malgina e, tenendoci appena al di sotto dei contrafforti rocciosi della cresta, andiamo ad intercettare un ripidissimo canale che ci porta alla base della cresta N della cima della Foppa, proprio in corrispondenza della bocchetta di quota m 2451 (ore 4).
Qui ha inizio l'avventura, un bel problema orobico risolto solo nel 1934. Per rocce ripide (max III) ma piuttosto solide e cercando di aggirare convenientemente le principali difficoltà, siamo senza problemi in cima ad una prima torre.
Un timido sole bacia il versante del Vagh, mentre gelo ed ombra avvolgono l'alta val Malgina.
Per fortuna non c'è verglass.
La roccia inizia a farsi meno solida e scendere al successivo profondo intaglio richiede maggiore attenzione.
Ci si para innanzi un'alta parete inaccessibile. A dx precipita un canale terrificante che lambisce un'alta muraglia strapiombante, mentre a sx una cengia obliqua corre sottocresta andandosi ad infilare chissà dove. La seguiamo per una ventina di metri, poi approfittiamo del primo canale-camino sulla dx per tornare a cavalcare la dorsale. Se fin qui abbiamo giocato in conserva, ora ci aspetta  un vero tiro di corda.
Non è tanto la difficoltà dell'arrampicata, ma il fatto che si sgretola tutto a preoccuparmi. Gli appigli per le mani si staccano e con cura li devo riporre su mensole volanti affinchè non cadano e arrivino a tagliare la corda o il Caspoc, entrambi indispensabili per la mia assicurazione.
Gli ultimi 4 metri sono i più ostici, perchè il camino strapiomba di brutto. Mi si incastra lo zaino mentre mi affanno con le dita congelate nella ricerca di una presa sicura. I poggioli per i piedi traballano come denti devitalizzati. Una lama di roccia si è staccata perchè toccata dallo zaino, così metto un braccio dietro la schiena, la recupero e la getto sull'altro versante, il tutto sospeso su quanto di più instabile si possa immaginare.
Quindi mi faccio coraggio ed esco da quel postaccio. Sono di nuovo al sole. Il Caspoc mi raggiunge con sorprendente facilità ancora prima che io sia riuscito a montare una sosta decente.
Insistiamo verso l'alto lungo il filo. Un paio di brecce marce, placche non troppo inclinate e roccia friabile ci accompagnano verso la cima della Foppa (m 2851, ore 3)
Pranziamo, aggiriamo la prima inutile elevazione della dorsale che da qui corre fino ai Cagamei per portarci per ghiaioni alla successiva selletta. Volendo evitare le placche gelate dello spigolo, ci infiliamo in un camino-diedro a N (35 metri, IV+). Fa un freddo cane e al Caspoc, che è davanti in questo momento, gelan via le dita. È in alto protetto solo da un paio di friend che ballano e non sente più le mani. Riesco a raggiungerlo a qualche maniera. Pure io non sento più le dita. Decido perciò di non superare il successivo tetto, ma traversare sulle placconate di dx dato che non capendo nemmeno se le mani sono chiuse o no è meglio utilizzare solo i piedi.
Siamo sulla cima.
Alfredo Corti, il primo a compiere nel 1925 questa traversata, scrive (e qui lo parafraso) che da qui in avanti son cazzi.
Infatti una serie di spuntoni quantoma aguzzi ed esposti ci fanno tribolare un po'.
Aggiro i primi due lato val Malgina, quindi scendo per una breccia verso il Vagh, il Caspoc sale direttamente il successivo per cresta e si trova all'inizio di un'affilatissima e marcissima lama discendente.
Balla tutto e anche ciò che balla meno suona di vuoto. Faccio girare la corda attorno a qualche roccia, ma chissà quanto tiene se lui vola. Siamo sospesi su altissimi precipizi, fino esagerati.
Attimi di apprensione e la difficoltà è superata (5m). Lo raggiungo mentre lui mi assicura dal basso con la corda inamidata e intimandomi di non volare! Forse io ero più d conforto.
Ed ecco un'altra lama, questa volta un po' più solida.
Che bello: torna tutto facile fino alla depressione alla base della cresta N della cima Occidentale di Cagamei (m 2913, ore 2:30) che, levati corda e imbrachi - eccezion fatta per i primi metri di arrampicata, tocchiamo facilmente.
Sono le 16:30. Che fare? Tra un'ora inizia a diventar buio. 
Tuttavia voliamo ammirare di profilo quanto appena arrampicato.
Il Caspoc, che l'ha già fatto, dice che la discesa dal passo del Druet è facile. Allora ci lanciamo.
Io sono stanco morto.
Ci portiamo alla bocchetta del Vagh, sopra la quale ch'è il "salto del camoscio", una fascia rocciosa di 10 metri data IV.
In base a questo ostacolo che superiamo senza alcuna difficoltà e slegati possiamo affermare che nei tratti precedenti c'erano almeno un paio di passi di V.
Poggiando agli sfasciumi del lato val Morta siam presto accanto all'ometto del pizzo del Druet (m 2868, ore 0:45), la cui ombra frastagliata si staglia alla base della cresta che unisce Foppa e Cagamei. La vista è bellissima!
Il lago di nebbia che si era sciolto nel corso della giornata si sta andando a ricomporre sulla Valtellina, mentre verso la pianura Padana probabilmente è sempre stato compatto e impenetrabile.
Ganda fino al passo del Druet, quindi giù a dx per altra ganda e un canalone che si getta sul ghiacciaio della Fascere. 100 metri più in alto di quest'ultimo usciamo sulla dx per evitare il salto basale del colatoio. Altra ganda, gelata e scivolosa, ci accompagna al ghiacciaio. Ramponi su, poi ramponi via nello zaino e lungo il gelato cordolo della morena ci ricongiungiamo al vallone del Vagh. In alto a NE sì disegna contro il cielo plumbeo il profilo della cresta N della cima della Foppa, reso ancor più spaventoso dall'approssimarsi delle tenebre e dalla stanchezza che mi piega le gambe ad ogni passo.
All'alpe Druet è notte fonda e brancolando nel buio con 1 frontalino e un telefonino, tutti e due del Caspoc che è più assennato di me, ritroviamo la carrozzabile per le Foppe e la centrale di Armisa (m 1041, ore 3).

Un lago di nebbie sulla Valtellina dalla dorsale della Pesciola.
Abbracciando il Combolo.
Sguardo sulla cima della Foppa.
L'uscita del canalino per la bocchetta di quota m 2451. 
La II torre della cima della Foppa vista dalla cima della I torre.
Verso la cima della Foppa.
In vetta. 
Le aguzze ed esposte guglie della parte mediana della cresta Foppa-Cagamei.
Per intenderci, il Caspoc si trova dove vedete il puntino rosso.
Lame in discesa.
La cresta finale per la cima Occ. di Cagamei. 
La cresta appena percorsa Foppa-Cagamei dalle pendici della cima Occ. di Cagamei.
La cresta Foppa-Cagamei dalla vetta della cima Occ. di Cagamei.
La vetta della cima Occ. di Cagamei.

giovedì 23 ottobre 2014

Notte sul dos Lis (m 2387)

Quale migliore occasione per testare il sacco a pelo che andare a dormire in cima al dos Lis dopo 2 giorni di vento da nord?
Temperatura minima -8°C, un po' di vento. Niente M25: ci hanno garantito che l'inutile bestiaccia era in quel di Mazzo. Quindi per me notte tranquilla e sonnosissima (il sole se n'è andato alle 19 per tornare solo alle 8), mentre carlo aveva un po' di problemi col sacco a pelo e il freddo gli ha imposto di alzarsi di notte a far foto.
Ci siamo attrezzati di solo sacco a pelo e materassino per goderci appieno le stelle e le numerosissime stelle cadenti (carlo ne ha contate oltre 50). Alba e tramonto, fotograficamente parlando, non hanno invece espresso esaltanti fiammate di colore.

Quando vedi una stella cadente devi esprimere un desiderio. Il mio era di vedere raddoppiare il numero delle mie capre. Pur addormentandomi molto presto sono arrivato a ben 4 Tcapre (ovvero 4*10^9 capre, ovvero 4 000 000 000 000 capre!)

L'ora blu dal dos Lis. Da sx: Corna Rossa, Corna Nera, Corno della val di Pisoi, Corna Butana e vetta di Ron sovrapposte.
Stellata sopra la Corna Brutana.
L'inquinamento luminoso di Brescia e Bergamo fa sparire le stelle sopra il profilo delle Alpi Orobie.
Beno che dorme - foto Carlo Nani.
Il Disgrazia illuminato dalla luce giallognola dell'alba.



martedì 21 ottobre 2014

In cammino per i rifugi della Valtellina (in ricordo di Nicola Martelli)

Si trova solo in bassa qualità, ma è un bel lavoro girato nel 2012 per i rifugi della nostra provincia e a cui ho avuto modo di partecipare. Il filmato, non ancora rifinito in tutte le sue parti e presentato frammentariamente al Sondrio Film Festival del 2012, è rimasto inedito fino ad ora. Son cambiati i alcuni rifugisti, altri hanno avuto figli, uno degli operatori è migrato in estremo oriente e Nicola Martelli (a cui è dedicato i documentario) non c'è più. Spettacolare è il suo racconto di quando ha incontrato il Gigiat!


lunedì 20 ottobre 2014

La battitura del furmentun

In quel di Carona ci siamo cimentati nella battitura del furmentun usando i fiel costruiti da Carlo, ricco proprietario anche del campo di grano saraceno.
Come ci ha confermato Albino, 91enne che ancora vive alla Moia di Carona tutto l'anno in piena autonomia, su quella sponda orobica è da 50 anni che né si coltiva né si batte il saraceno, per cui stiamo facendo una cosa completamente fuori dal tempo, ma molto interessante e coinvolgente.
Abbiamo prelevato il furmentun dal portico della chiesa di Carona, dov'era a seccare da qualche settimana, quindi (procedura ottimizzata dopo più tentatici) abbiamo steso uno strato di paglia sotto i pelorsc (teli di canapa) e su quel soffice fondo abbiamo posto uno spesso strato di piante di furmentun.
Poi, a più non posso, le abbiamo battute coi fiel, disponendoci uno di fronte all'altro e picchiando alternatamente, cercando di prendere un buon ritmo e di non darci i battenti in testa.
Infine, tolta la paglia da sopra i teli, ne abbiamo setacciato il contenuto (le semi del grano, pagliuzze e fogliame) e abbiamo messo il filtrato dentro a sacchi di tarlìs (iuta) in attesa di ventilarlo.
A chi si chiede se la coltura del saraceno con tecniche tradizionali dia benefici economici, la risposta è ovviamente no. Reimparare a fare questi antichi mestieri è tuttavia un modo per far rinascere l'agricoltura di montagna, prendersi cura del territorio e rafforzare il nostro ponte col passato: tutte cose che il moderno consumismo sta sbriciolando con gran foga.


Albino, 91 anni e un passato da guardiacaccia in val Belviso, è la memoria storica di Carona.
Preparazione del saraceno.

La battitura sullo sfondo della chiesa di Carona.
La battitura sullo sfondo della chiesa di Carona.
Al colpo del fiel i semi di saraceno si staccano dalla pianta.
Si svuotano i pelorsc nel setaccio che servirà per eliminare le pagliuzze più grosse.
Il saraceno misto a foglie e altre impurità filtra attraverso il setaccio.
Si raccoglie il filtrato dentro a sacchi di iuta. La fase successiva sarà la ventilazione per separare i semi dalle impurità più leggere.


lunedì 6 ottobre 2014

Punta Torelli (m 3137)

Dopo alcuni giorni di sole, tutte le speranze di un bel autunno stanno andando a farsi benedire. Il tempo è tornato uggioso e piovoso.
Oggi le nostre mille mire espansionistiche sulla val Masino si sono presto arenate: pioggia in basso e neve dai 2400 in su che, aiutata dalla nebbia, impediva di orientarsi.
Abbiamo dormito un paio d'ore in Gianetti nell'attesa arrivasse un po' di sole, ma nulla da fare.
Dalla traversata in cresta dei Gemelli, alla Marimonti alla punta Sertori, ad una linea a caso sulla punta Sant'Anna, abbiamo ripiegato sulla punta Torelli, tribolando un po' addirittura a fare la pur facile via normale (versante e cresta SO), dato che le rocce erano foderate di neve e si scivolava in continuazione.

Dalla vetta nessun panorama e tanto freddo. Per fortuna almeno in discesa, compiendo la traversata alla Omio, abbiamo goduto di begli scorci sui pascoli della valle dell'Oro arrossati dal freddo e ascoltato le foglie dei faggi che cadevano e tappezzavano il bosco.
Tempüsc' in val Porcellizzo. Alle spalle del rifugio Giannetti, tra le nebbie, il pizzo Badile.


Il tracciato Gianetti - punta Torelli.
Il tratto finale della salita alla punta Torelli.
Sul versante SO lungo un canalino per tornare sulla cresta dopo averne aggirato un breve tratto.
L'uscita del canalino.
Caspoc' va a dare un occhio alla cresta che porta alla punta Sant'Anna.
Sarà per la prossima volta!

Il freddo è davvero fastidioso, anche se al Caspoc' ha regalato un bel ciuffo gelato come Mirko dei Bee-Hive, quello di "Kiss Me Licia".





giovedì 2 ottobre 2014

Pizzo Painale (m 3248) - parete NE

È da tempo che vorrei metter piede sulla parete NE del pizzo Painale, quella che s'impone agli sguardi dalla val Forame e dal rifugio Cederna. Ci son troppe pareti su cui vorrei metter piede tanto che credo le mie forze si esauriranno ben prima di averne visitate anche solo una parte.
In particolare la NE del Painale è una di quelle pareti che s'atteggiano inacessibili e repulsive, mentre so che già il Corti aveva trovato una linea a inizio '900.
Su di essa si alternano fasce di roccia rossiccia e marcia a liste addirittura di sano, ruvido e solido granito. Una stratigrafia endemica proprio del pizzo Painale.

La parete NE del pizzo Painale vista dai pressi della cascata ai piedi dell'alpe Forame.

Partenza: Campiascio (m 1680).
Itinerario automobilistico: Da Sondrio prendere la Strada Panoramica per Teglio (SP21). Si passano Montagna (al km 2), Poggiridenti (al km 4) e Tresivio (al km 5,5). Giunti a Ponte, alla chiesetta di San Gregorio (al km 9), svoltare a sx per Teglio (SP76). Dopo una breve salita, immettersi sulla strada a sx che porta in Val Fontana (al km 9,4). Si attraversano i meleti e, appena dopo il centro sperimentale per la salvaguardia della selvaggina, si incontra la chiesetta di S. Rocco. 100 metri e si ignora la svolta sulla sx per S. Bernardo. Si seguita sulla stretta via asfaltata che penetra in Val Fontana. Dopo il ponte di Premelè si passa sul lato idrografico sx della valle. Alcuni tornanti conducono prima a S. Antonio, poi al guado in prossimità del rifugio Erler (m 1420). Il fondo diviene sconnesso e, dopo una breve salita, si è al Pian dei Cavalli (m 1550). Oltre il pianone, si seguita sulla pista fino all’alpe Campiascio (m 1680, km 27 da Sondrio).
Itinerario sintetico: Campiascio (m 1680) - alpe Forame - pizzo Painale (m 3248) dalla parete NE - discesa per la cresta N -  Campiascio.
Tempo di percorrenza previsto: 8-9 ore per l’intero giro. 
Attrezzatura richiesta:  scarponi, corda (almeno 30 metri), piccozza, imbracatura, ramponi, cordini, fettucce.
Difficoltà: 4+ su 6.
Dislivello in salita:  1568 metri.

Dettagli: Alpinistica AD- = Scalata con difficoltà alpinistiche fino al IV grado su roccia spesso cattiva ed esposta. Se vi incengiate come me su canale centrale, dovrete affrontare camini umidi e friabili con passi fino al V.




Ci sono così tante cose che vorrei fare che arrivano le 10 di mattina prima che io decida una destinazione: la val Fontana. Zero attrezzatura, scarpe da ginnastica, 3 salami, 2 panini e 2 banane.
Vado su in moto così da evitare di scassar troppo la macchina, perchè dal pian dei Cavalli in poi la strada è pessima.
Ci sono molte macchine dei cacciatori parcheggiate. L'aria è pungente e all'alba delle 10:30 tutta la valle è ancora in ombra!
Così arrivo a Campiascio, scendo di sella, appoggio il casco e parto in direzione della Cederna senza esitare: devo scongelarmi.
I tornanti del sentiero che sale in val Forame scandiscono il mio spogliarello: il sole è giunto e mi sta facendo sudare come un pazzo.
Il tracciato, dapprima sulla sx idrografica, passa sulla destra, poi torna a sx e vince uno strappo con vista sulla bella casata del torrente e sulla parete NE del Painale che dà bella mostra di sé.
Non ho ancora idea di dove salire quel muro di roccia di oltre 500 metri. Guardandola frontalmente sembra compatto, ma in realtà vi sono cenge, creste, costole  e camini.
Supero due cacciatori di camosci. Discutiamo dell'orso che di tanto in tanto bazzica da queste parti e anche loro sono del mio parere: chi ha avuto l'idea di reintrodurre un predatore del genere l'ha fatto senza cognizione di causa, visto che l'orso (sto parlando nello specifico di M25) ammazza gli animali domestici senza pietà. E questo, purtroppo, in val di Togno è un dato di fatto.
Dopo l'alpe Forame (m 2168) tengo il sentiero per la Cederna fino a rimontare il gradone successivo della valle, quindi mi sposto senza più traccia a sx e, oltre le vecchie morene del ghiacciaio, giungo alle lenti glaciali.
Sono 2, una coricata nel catino ai piedi della parete e una abbarbicata sui pendii cinti dall'anfiteatro roccioso che caratterizza il settore sx (S) della parete.
Al centro vi sono due speroni rocciosi che individuano uno stretto e verticale camino.
Proverò a salirlo, dato che il settore sx della parete mi è precluso non avendo con me i ramponi.
Giungo alla base delle rocce, sul margine dx della vedretta superiore.
Mi addentro nel solco. Non vi sono inizialmente grosse difficoltà, ma solo tanto detrito sulle rocce che rende faticosa la marcia.
Un centinaio di metri più in alto il canale si stringe, mentre sulla sx si apre una ampia zona di placconate rossicce dominate da una vertiginosa parete di roccia chiara.
Mi addentro nel solco vincendo un primo salto non banale.
Sopra di me vi sono altissime pareti incombenti.
Il pericolo oggettivo di caduta pietre dall'alto è molto elevato. Se venisse giù qualcosa mi colpirebbe al 100%: non vi sono vie di fuga.
Il camino si fa sempre più ripido, alternando brevi pianerottoli a zone verticali se non strapiombanti.
Si inizia a fare sul serio. La roccia è bagnata e il vuoto sotto i miei piedi inizia a essere consistente.
Ogni tanto saltano via gli appigli. Per fortuna coi camini ho molta dimestichezza e riesco ad incastrarmi bene tra le due facce.
Un pensiero mi inquieta ogni volta che supero un passo ostico: se non riuscissi ad andare oltre, riuscirei a tornare indietro?
Non voglio pensarci, ma inconsciamente noto che ogni movimento lo sto ripetendo più volte per impararlo anche in disarrampicata.
Una corda non sarebbe male.
Nemmeno se un compagno mi facesse sicurezza sarebbe male.
Nemmeno una panaché media, mentre gli unici liquidi che si palesano sono le gocce d'acqua che scendono nel solco, bagnano la roccia e i miei pantaloni.
Le scarpe da ginnastica che sto usando, Adidas Terrex (con la suola Stealth delle vecchie Five Ten), hanno una presa incredibile e mi danno estrema sicurezza benché mi stiano gelando via le mani e devo perciò continuamente metterle in tasca per riprendere sensibilità e tastare gli appigli.
Dopo 4 muri vinti con più o meno dignità arrampicatoria, pare che il canale spiani, ma in realtà è solo un'illusione ottica: lo capisco a mie spese perchè laddove credo di poter procedere quasi camminando, in realtà scopro presto che è verticale. La roccia è talmente marcia e bagnata che non trovo modo di andare oltre.
Ci perdo quasi un'ora a fare tentativi, ma senza successo.
Mi vedo costretto a rinunciare: e questo vuol dire disarrampicare i passi in cui ho faticato a issarmi in salita.
Non ho alternative.
Mi concentro e metto la retromarcia.
Inaspettatamente in discesa ho meno difficoltà che in salita e arrivo, dopo aver perso inutilmente 2 ore e mezza in questo tentativo, a dove il canale si allarga. Non mi do pervinto e cerco un'altra soluzione alla parete: piego a dx (N) e attraverso la grande placconata coperta di detrito (attenzione!) fino a una zona di rocce rotte, pser tornare tutto a sx a cavallo di uno sperone: sarà la mia prossima linea guida.
Sulla sx ci sono inquietanti scorci sul canale in cui mi sono appena andato a incengiare.
La roccia si fa buona, con bei tratti di granito. Il ripidume iniziale va gradatamente addolcendosi.
Guadagno presto quota. Il ghiacciaio è sempre più piccino, e, dopo aver passato sulla dx una grande torre rossiccia (tratto marcio), sbuco sulla cresta N a circa m 3100.
Le rogne son finite. Corro fino in cima superando alcune sottili lame e tratti più marci e verticali (passi di II/III). Il sole, che mai ha illuminato la via di salita, torna a scaldarmi.
Vedo chiaramente il settore dx della parete, quello che mi avrebbe fatto uscire direttamente in vetta.
Mi girano un po' le scatole di non averlo percorso : era ben più estetico. Non parebbe neppure difficile, sebbene foderato di fastidiosi e pericolosi blocchi mobili.
Quando tocco la vetta del pizzo Painale (m 3248, ore 5) le nebbie hanno già chiuso il paesaggio. Mi sdraio accanto all'ometto di vetta e, tanto per cambiare, mi addormento.
Non è l'asperità rocciosa roccia che mi punta sulle costole e a cui l'inettitudine di trovare un'altra postazione mi ha fatto abituare, ma un soffio gelido che mi dà la sveglia. Sono le 16:30.
Appena mi alzo in piedi, ecco uno squarcio nelle nubi che proietta la mia sagoma sulle nebbie della val Forame e fa apparire il mio spettro di Brocken. Gioco un po' alzando e abbassando le braccia che appaiono allungate a dismisura nella mia ombra disegnata all'interno dell'arcobaleno circolare che completa lo spettro.
È ora di tornare a casa.
Tutte le volte che trovo difficoltà in una salita, mi chiedo se queste siano state nella mia testa o effettive. Per capirlo provo a fare una via nota, in modo da avere un confronto.
E così mi butto giù a tutta per l'aereo spigolo N fino alla sella terrosa a S del passo del Forame, che raggiungo in meno di mezz'ora. Qui piego a dx e per un canale di detriti perdo velocemente quota e a passo svelto, dopo aver chiaccherato di nuovo coi cacciatori che rientrano senza camoscio, sono alla moto in solo 1 ora e 20 dalla vetta del Painale!
Morale? Ho la conferma che quel camino in cui mi sono incengiato è davvero impegnativo.

Alpe Forame e pizzo Painale.
Via di incengiata e via di salita per il versante NE. 
All'imbocco del canalone che, come si vede, in alto si fa camino. 
Parete NE, parte alta. Come di vede, la roccia è granito.
Lo spettro di Brocken in vetta.
La vetta del pizzo Painale e lo spettro di Brocken.