mercoledì 26 giugno 2013

Monte Disgrazia (m 3678) - parete Nord

Monte Disgrazia - parete nord
Monte Disgrazia, versante N (foto d'archivio del novembre 2009). Tracciata la via Schenatti, con l'uscita precoce dalla strozzatura centrale che viene seguita in questi anni dato il ritiro dei ghiacci che ha prosciugato il canale nevoso.

Non amo le vie classiche. Ho come l'idea che siano meno avventurrose, meno intime, ma questa parete era davvero tanto tanto tempo che la sognavo (da D+ a TD a seconda di chi valuta, 60°).
Da un'idea dell'ultim'ora di andare all'Oggioni a dormire per guardarsi in giro, ne è uscita una salita davvero emozionante in compagnia di Andrea e Giorgio.
Condizioni invernali, anzi, mai nemmeno d'inverno avevo visto tanta neve in cresta al Disgrazia, con cornici a sbalzo anche di 2-3 metri.
La parete Nord invece era al top: il vento aveva ghiacciato i pendii, che così erano ottimi per gli attrezzi. Un po' meno per le continue scariche di neve polverosa nella strozzatura centrale che ci riempivano il colletti delle camicie. Temperatura tra i -5° e i -10°C. Visibilità buona solo a tratti, vento gelido insistente. Foto poche perchè avevo paura che la macchina finisse a valle con la neve che precipitava dall'alto.



Partenza: Chiareggio (m 1612).
Itinerario automobilistico: da Sondrio prendere la strada provinciale SP15 per la Valmalenco. Arrivati a Chiesa (12 km) si sceglie la biforcazione occidentale della valle. Dopo diversi tornanti (5 km) si arriva a San Giuseppe, da cui si prosegue in direzione di Chiareggio (5 km).
Itinerario sintetico: Chiareggio (m 1612) - alpe Ventina (m 2000) - bivacco Oggioni (m 3151) per il canalone della Vergine - monte Disgrazia  per la parete N(m 3678) - discesa per cresta OSO quindi per il canalone Schenatti - Predarossa (m 1955).
Tempo di salita previsto: 1° giorno 6 ore fino al bivacco Oggioni; 2° giorno - 5 ore alla vetta + 4 ore per la discesa.
Attrezzatura richiesta: scarponi, corda (60 metri consigliata), piccozze da piolet traction, imbracatura, ramponi, cordini, 3-4 chiodi da ghiaccio e altrettanti da roccia
Difficoltà/dislivello: 5+ su 6 / 2200 m circa.
Dettagli: Alpinistica da D+ a TD a seconda di chi valuta. Pendii glaciali fino a 60° e possibili tratti di misto.  D+ dovrebbe essere la gradazione giusta, che tiene anche conto del fatto che l'itinerario non è sempre in condizioni buone per essere percorso agevolmente.
Mappe: Valmalenco - Carta escursionistica 1:30000.

Il tracciato dall'Oggioni alla vetta del Disgrazia per la parete Nord visto dalla cima di Rosso nell'aprile 2009.

Al pomeriggio di martedì ci incamminiamo da Chiareggio dopo esserci fatti spennare 20 euro all'alimentari per 5 panini e una piccola bisciöla. 2 erano cul furmac' de quel vec': forse è questo che ha determinato il sovrapprezzo.
Non abbiamo ancora deciso cosa fare: dovevamo aggregarci alla cordata dell'amico Danilo Valsecchi e di Benigno Balatti, ma Danilo non è stato bene e così siamo soli. L'unica certezza è una notte umidiccia nello scatolotto rosso dell'Oggioni, poi qualsiasi cosa ci venga in mente sarà comunque bellissima.
"Dove andate?"
"Su all'Oggioni, poi vediamo."
"La Nord?"
"Forse, dipende dal tempo, o forse solo la Corda Molla."
È afoso e piuttosto caldo mentre percorriamo la carrareccia per il rifugio Porro. Incontriamo contromano numerosi studenti e anche il Floriano Lenatti, gestore del rifugio. 
"'n ghe 'ndi?"
"'n séra dré a vegnì sü a vedé se te fasévet giüdìzzi?!"
Floriano ride.
"Andiamo all'Oggioni, poi vediamo cosa fare"
"La Nord?"
"Forse, dipende dalle condizioni."
"È stato su il Nicola e ha detto che è bellissima."
Dopo quella affermazione del Floriano il "forse" sparisce dai nostri piani.

Raggiunta la Porro, percorriamo tutta la piana del Ventina, poi rimontiamo la morena di dx (S) del ghiacciaio della Ventina. Seguiamo il cordolo sassoso ed entriamo (S) nel vallone della Vergine. Siamo circa a m 2200 e inizia la neve. Ce n'è tanta per essere a giugno, tutti i ghiacciai sono coperti.
Sulla Sassa di Fora imperversa una bufera.
Calziamo subito tutta l'attrezzatura da 8000 e ci gettiamo nella coltre bianca, flaccida e appiccicosa.
Si affonda tutti i passi. Che faticaccia!
Alla nostra sx c'è la Sentinella della Vergine, mentre a dx la robusta dentatura della severa cresta ENE del pizzo Ventina.
Si vedono in alto, al centro del quadro di cui ho appena tratteggiato la cornice, sia la punta Kennedy, che la parte ripida del canalone della Vergine (40°).
Il cielo è grigio e presto inizia a nevicare.
Ci teniamo sull'orografica dx, cioè sulla sx, nel primo tratto della valle. Quando questa piega decisamente a dx (O), noi la seguiamo passando a sx dell'isola rocciosa di quota 2862 che separa le due lingue del ghiacciaio del canalone della Vergine.
Una ripida rampa, insolitamente scevra di crepacci, ci regala la conca compresa tra la punta Kennedy e il pizzo Ventina, cime ora nascoste dalla nebbia. Continuiamo ostinatamente verso O vedendo il bivacco Oggioni, causa l'enorme quantitativo di neve ancora presente, solo quando ci siamo praticamente entrati (m 3146 su CTR, m 3151 su altre mappe, ore 4-5 a seconda delle condizioni).
L'aria è fastidiosa, ma non ci sono accenni di rigelo.
Forse sono i successi di Ligabue che Giorgio canta ad impedire la cristallizzazione dell'acqua.
Se fosse così anche domani, sarebbe sconsigliabile andare all'attacco, così dovremmo ripiegare sulla Corda Molla o, nel peggiore dei casi, su una Kennedy di consolazione.
Speriamo Giorgio inizi a fischiettare almeno Pino Daniele!

Non abbiamo mai fatto la Nord, nè siamo mai scesi al ghiacciaio del Disgrazia dal colle su cui è il bivacco. Mentre Giorgio e Andrea producono il tè necessario per deglutire i nostri costosissimi panini, io, sulla scorta delle informazioni contenute nella guida di Miotti "Disgrazia Bernina", cerco il "ripido pendio"per scendere al ghiacciaio del Disgrazia. Ma attorno al bivacco non c'è nulla di quanto promesso. Ipotizzo allora anche che si debba buttare una doppia dal bivacco per portarsi sulla neve che vedo più in basso, ma nella penombra non riesco a valutare le distanze.
Entro anche io nello scatolotto di lamiera.
Sono rattrappito dal freddo e l'umidità che c'è all'interno non fa che peggiorare la mia situazione.
Andrea lamenta lo stesso problema.
Giorgio : " Io sto bene!".
"Fottiti!"
Srotoliamo subito i sacchi a pelo e, mentre quello che sta bene fa il cuoco, ci mummifichiamo per scongiurare l'ipotermia.
Beviamo molto la sera, anche perchè il formaggio vecchio è davvero saporitissimo.
Gli abbinamenti del nostro menù farebbero rabbrividire un americano, ma ci riempiono la pancia e il calore del té fa da catalizzatore alla digestione e alle flatulenze mefitiche di qualcuno!
L'urinoterapia delle 22 (pratica fatta per scongiurare un traumatica uscita dal bivacco quando ti scappa in piena notte) ci lascia contemplare le fitte nebbie e ci fa schiaffeggiare da un vento sempre più cattivo.

Rientrati nei sarcofagi vi rimaniamo fino alle 4 di mattina. Dal vetro della porta è entrata la luce della luna per tutta la notte, mentre il vento scuoteva le lamiere e gridava. Sembrerebbero buoni auspici, ma alle 4 c'è un tempo da lupi: non si vedono nemmeno le picche piantate davanti alla porta!
Torniamo nei bozzoli. 
Alle 5 la successiva verifica dà esito migliore, così avviamo le operazioni di settaggio zaini, colazione e pulizia del bivacco.
"Non firmiamo il libro?", mi chiede Andrea.
"Mei de no", gli rispondo. "Porta sfiga, se mai su al Rauzi!"
Verso le 6 sono ancora appeso su una calata sotto il bivacco: "Da qui non si va da nessuna parte, maledizione!".
Riemerso, andiamo su verso S lungo l'orlo della conca alla ricerca di un passaggio e, circa 120 metri oltre il bivacco ha inizio una ripida rampa (45°) nevosa che scende nell'altro ghiacciaio.
Giù a marcia indietro, in diagonale verso dx dove si trova lo sbocco dello scivolo, con 2 picche ben piantate perchè è tutto ghiacciato.
A m 2950 atterriamo nell'enorme catino ai piedi della parete N. Le nebbie si sono sciolte.
Ci sono 40 cm di neve fresca per terra. Il punto dove varcare la crepaccia terminale è chiaro: un ponte nel suo centro. Ci alterniamo nel batter traccia e, poco dopo aver incontrato il sole, eccoci lì, a circa m 3120.
Una volta sull'altra sponda non si torna più indietro. Certo che le vie famose, anche se non dure, angosciano perchè su di esse girano leggende e racconti! Persino chi non le ha mai salite, infatti, ti ammonisce su difficoltà e ti raccomanda prudenza.
Ne rido con Andrea ricordandogli come lasci indifferente il dire che vai a fare la traversata delle cime di Musella, mentre se racconti che parti per la normale al Disgrazia allora sgorgano spontanee parole di ammirazione. Bizzarro.
Questa parete la conoscono anche i bambini, e forse la Diretta è la via più famosa della Valmalenco.
Tra questi discorsi varco la soglia del terminale.
È la prima volta che uso le picche da ghiaccio: me le ha appena vendute Pascal. Pare vadan bene.
Ho con me una vite da ghiaccio che ho trovato proprio sul Disgrazia 5 anni fa e che appendo allo zaino quando vado per funghi, non conoscendone altre applicazioni. Dalle relazioni pare però che in questi luoghi sia proprio conveniente avvitarne qualcuna. Imparerò.
In inutile conserva corta affrontiamo la prima rampa (50°).
Una slavina ha creato un toboga nel centro del pendio. Noi siamo lì dentro. 3 puntini al cospetto di un immenso muro di ghiaccio.
Alla nostra sx c'è la prua. È enorme quanto il muraglione della diga dell'alpe Gera, forse anche di più. Un grosso seracco a sbalzo si stacca da essa, imbilico, ma momentaneamente immobile. Per fortuna lo si nota solo di lato, se no chissà che paura avremmo avuto nel passargli sotto!
A m 3200 una fascia di rocce sulla sx inizia a stringere il pendio, mentre dall'alto vien giù roba che si incanala tutta nel solco che stiamo salendo. Saltiam fuori e puntiamo alla strozzatura sopra le nostre teste. Sembra un vicolo cieco, ma è lì che si nasconde il passaggio chiave.
Eccoci giunti!
Con un chiodo da roccia attrezzo una sosta dietro uno sperone che protegge dalle scariche dall'alto e, tolta tutta la corda dallo zaino, al termine dell'ennesima secchiellata di neve Andrea dice "Ora!".
Mi lancio nel settore più impegnativo, una bella goulotte. 
Continua a venir giù roba. Come degli scemi abbiamo levato la giacca e siamo solo in camicia. Ciò significa permettere alla neve di riempirti la schiena ogni volta che arriva una doccia.
Se dovessi descrivere questi momenti direi semplicemente inquietanti. Son qui che attendo difficoltà gravi che non arrivano, ho paura di sbagliar via, che mi arrivi una stalattite addosso o una scarica che mi porti al via. Poi penso a Giacomo Schenatti e Antonio Lucchetti Albertini, che nel 1934 avevano vinto questa parete con strumenti primitivi: come posso aver timore? Ho anche le mutande tecniche...
I metri passano, Andrea e Giorgio sono sempre più lontani. 60 gradi, ma di ghiaccio ottimo. I movimenti sono talmente ripetitivi che non li si può sbagliare. Sono riuscito a mettere una fettuccia e ad avvitare una vite da ghiaccio. 35 metri fa. Il solco si fa sempre più stretto, forse meno di due metri di colatoio tra le rocce.
"Ne hai soli 3 metri!"
"Sosta! Ho trovato uno spuntone, venite tranquilli."
Dopo esattamente 60 metri sto recuperando Giorgio e Andrea. Il passaggio chiave è fatto. Sono felicissimo. È stato più facile di quanto si racconti.
I miei compagni salgono al galoppo. Stavano congelando tartassati dal vento.
A un certo punto sento una botta sul casco.
"Scarica!!!"
Scende una slavina di neve polverosa più grossa delle precedenti.
30 secondi di panico, poi le imprecazioni di Andrea mi rassicurano che è andato tutto bene e anche che lui ha la camicia piena di neve.
Eccoli.
"Freddo?", chiedo.
"Ho i piedi di legno", dice Andrea.
"A me si sono gelate e scongelate un paio di volte le dita delle mani, che male!", aggiungo.
"Io sto bene", sorride Giorgio.
"Fottiti!!"
Io resto in sosta e loro prendono la striscia nevosa sulla sx che porta nella parte alta della parete.
La pendenza cala, circa 40-45°.
Le nebbie si squarciano per un istante e vediamo il baratro che c'è sotto i nostri piedi. Oltre una strana crestina nel centro del pendio, un confine di ghiaccio divide due mondi apparentemente incomunicanti.
Non fa paura, questo scorcio piuttosto regala una grande emozione: siamo nel centro di una delle più belle sculture che esistono, una sfida alle leggi della gravità. Cerco di imprimermi nel cuore ciò che vedo, anche se sarà difficile descrivere un momento in cui lo stupore è tanto da annientare ogni pensiero. Le nebbie corrono e non farei mai a tempo a estrarre la macchina prima che tutto si chiuda di nuovo, così non ci provo nemmeno.
Teniamo la corda giusto per l'inettitudine a metterla via e, con Andrea in testa che macina dislivello con un lasco di 50 metri, arriviamo per via ovvia sulla cresta ONO a circa m 3600.
Fuori dal baratro, direte voi. E invece no! La via normale è talmente carica di neve che le difficoltà non sono finite.
Fuffa, inconsistente, mica bel ghiaccio. Per non parlare delle cornici impressionanti che orlano la cresta.
Così dobbiamo esser prudenti e, addirittura, aggirare da dx per canali il mitico Cavallo di Bronzo, mitico monolito tra cima e anticima O su cui è solitamente un passaggio chiave, quasi obbligato, della via normale dalla val Masino.
Alle 10:20, dopo circa 4 ore (di cui 1 Oggioni-terminale, 2.25 in parete e 0:25 per ravanare sulla cresta finale) siamo in vetta al Disgrazia (m 3678, la via è data in 4-6 ore dal bivacco Oggioni).
Non si vede nulla, ma qui la foto la facciamo. Tristi foto da turisti giapponesi a Roma con la nebbia.
Tentiamo di scendere al bivacco Rauzi, ma desistiamo per le condizioni proibitive che ci suggerirebbero ad alta voce di buttar giù una doppia e di non fidarci delle cornici. "Tanto poi non sappiamo dove sono le calate della Corda Molla e per di più saranno nascoste dalla neve, la firma sul libro ce la mettiamo un'altra volta!".
Ripieghiamo così sulla cresta ONO.
Ritornati all'uscita della N incontriamo nientemeno che Benigno, salito dal canalone Schenatti con un amico. Ci racconta che da anni non trovava il Disgrazia in queste condizioni patagoniche.
Scrocchiamo loro, che hanno la macchina a Predrossa, la promessa di un passaggio fino ad Ardenno che ci eviterà un lungo pellegrinaggio attraverso i passi di Cecilia e di Mello per rietrare a Chiareggio.
Ed ecco, pochi metri oltre l'uscita della Nord, sul versante del Masino ha inizio il ripido pendio del canalone Schenatti (40°).
Neve dura che va scesa con attenzione. In fondo, sopra un salto roccioso, pieghiamo decisamente a dx.
Siamo sul ghiacciaio di Pioda. Nemmeno un crepaccio, anzi, la valle è piena di neve fin sotto i m 2800. Grazie ad una lingua più coraggiosa riusciamo a scivolare fino sotto la Ponti.
Fin'ora nemmeno un metro sulle solite noiose pietraie.
Prendiamo il cordolo della morena e siamo velocemente alla piana erbosa a m 2200, dove intercettiamo il sentiero classico grazie al quale divalliamo fino alla grande piana di Predarossa (m 1955, ore 4). In fondo ad essa c'è un parcheggio, vicino al quale un prato in riva al torrente dove ci sdraiamo e ci lasciamo ammuffire.
Che mal di piedi che ho.
"Io sto bene."
"Fottiti!"
All'arrivo delle nuvole che oscurano nuovamente il sole, ci mettiamo a fare i cretini sui massoni. Trovo un nido di uccelli. Le uova si sono appena schiuse. Li osservo cosi piccoli ed indifesi, sembravamo noi poche ore fa. Poi me ne vado a fare il cretino su un altro masso.
Vari cambi di mezzi ci riportano infine a Chiareggio con maggiore sperpero di tempo che se lo avessimo fatto a piedi. Ma poco conta, ora guardare da N il monte Disgrazia ha tutto un altro sapore!

Sul canalone della Vergine verso il bivacco Oggioni.
Mummie e cuochi all'Oggioni.
NB. che è il grandangolo che lo fa sembrare grande e accogliente!
Seppur non bellissimo, il tempo migliora dopo le 5 del mattino, così decidiamo di partire.


Alla base del pendio che scende al ghiacciaio del Disgrazia.
Il pendio che scende al ghiacciaio del Disgrazia.
Sguardo su Disgrazia, cime di Chiareggio, monte Sissone e Gemelli di Chiareggio.
Verso la N, quota 3000 ca.
Verso la N, quota 3050 ca.
Monte Disgrazia - parete nord - tracciato della via Schenatti
Verso la N, quota 3050 ca. Sulla sx si vede la grande prua ghiacciata che emerge dalla parete N.
In vetta. Paesaggio verso O.
In vetta. Paesaggio verso E.
Sul colletto dove esce la Nord.
L'ultimo tratto della Nord dall'alto. 
Fuori pericolo!
Sul ghiacciaio di Pioda. Tracciato il canalone Schenatti.




domenica 23 giugno 2013

Monte Torena (m 2911) - spigolo NE

Il monte Torena dal sentiero che dalla malga Aial dei Fiori porta alla malga Torena.

È passata neppure una settimana da quando eravamo  a fare il bagno nel lago Nero, che sono di nuovo in val Belviso. Pur impegnato a imprecare per il freddo, domenica scorsa non ho potuto ignorare la splendida vista sul monte Torena, con il versante nord ancora tutto spuzzato di neve e le creste orlate di cornici. In particolare mi aveva colpito la cresta NNE, quella che si vede a sx della vetta guardando dalla malga Torena. Dovevo assolutamente salirci.




Il tracciato sulla cresta NE del monte Torena.
La cresta NNE del Torena vista dalla malga Torena.
Parto all'alba da ponte Frera (m 1386). Alba? Beh, alba inoltrata visto che stamattina non riuscivo a svegliarmi. Mi bruciano gli occhi. Sarà che i giorni scorsi ho consegnato la rivista: con tanti scatoloni in macchina e una probabile allergia agli inchiostri, sono ridotto a uno straccio.
Sbadigliando salgo verso la malga Torena approfittando del sentiero, meno della strada agro-silvo-pastorale nel descrivere questo fianco del monte. Man mano la vista s'amplia sul lago Belviso, o di Frera, termine che sta probabilmente a indicare "ferriera". L'impianto che fa capo all'invaso è stato realizzato nei comuni di Teglio e dell'Aprica dalla Falck tra il 1953 e il 1959. La produzione annua supera i 100 milioni di kWh, la capacità del lago supera i 50 milioni di m³ ed è garantito un consistente afflusso di acque dal vasto bacino idrografico sotteso. La popolazione ittica presente è costituita da trota fario, trota iridea e salmerino che rendono assidua la frequentazione del lago da parte dei pescatori.
 Un'ora e un quarto e sono sulle rive del lago Nero. Il lago Belviso da quassù è nascosto. Una zecca , in agguato nelle erbe alte alla malga Fraitina, ha deciso di cibarsi del mio ginocchio. Mai scelta fu peggiore!
Pace all'anima sua: ora riposa senza testa nel lago. Quest'anno ce n'è proprio un'invasione. Eppure pensavo che il recente rigurgito dell'inverno le avesse sterminate.

Due ragazzi che hanno campeggiato in riva al lago stanno smontando la tenda. Io metto le braghe lunghe perchè, sebbene fin qui si moriva di caldo, ora il vento s'è fatto insistente e fastidioso. La cima del Torena è avvolta dalle nubi. La cresta si lascia difficilmente leggere dal basso, ma non credo possa offrire speciali difficoltà.
Raggiunto il lago Verde, devo tornare al lago Nero perchè ho dimenticato le racchette. Quindi  ci riprovo e raggiungo la cresta per il pendio di rottami a SE del lago.
Inizia la scalata su sfasciumi e visega inumidita dalle nebbie. Lo spigolo è abbastanza aereo. Da quassù si vede bene sia il lago Belviso, che i vari laghi che gravitano attorno al Torena: Verde, Nero, dei Porcelli e della Cima. Dalla quota 2413 a circa m 2600 la dorsale corre da E a O, quindi piega a SO e si fa decisamente più rocciosa e ripida. C'è qualche passo di arrampicata (fino al III), più che complicato, reso pericoloso dalla cattiva consistenza del supporto. Trovo i peggio problemi su una placca bagnaticcia. Chissà se senza neve la si aggira.
Dopo i 2750 la neve diventa una presenza costante. È così molle che la maggior preoccupazione non è quella di scivolare, bensì quella di finire in un buco tra i sassi. È incantevole la vista sulla parete N, disegnata in lungo e in largo dalle impronte degli stambecchi.
A m 2850 le pendenze scemano e senza difficoltà sono alla croce di vetta del monte Torena (m 2911, ore 5:30 secondo i cartelli, complessivamente PD da questa cresta).
Mi sdraio sul cocuzzolo. Sono davvero provato. Oggi la forma non c'è. E infatti mi addormento di botto e mi risveglio dopo due ore, spaventato dal constatare che, se anche solo mi fossi voltato nel sonno, sarei volato giù dalla parete.
C'è nebbia tutt'intorno. Ogni tanto compaiono il lago di Pila e quello del Barbellino. Vorrei proseguire per cresta fino al monte Gleno, ma il cielo ruggisce di tanto in tanto minacciando temporali.
Riparto in direzione del passo di Pila (m 2550), smontando sul versante S per un ripido canalino che inizia appena a E della vetta (45°), quindi traversando (sx) e scivolando lungo pendii più dolci fino al valico. Uno sguardo verso le creste che seguono. Non si vede assolutamente nulla.
Aspetto 10 minuti , ma non cambia nulla.
Decido di batter ritirata e m'abbasso per la valle di Pila tenendo la sx orografica. La neve rende molto veloce il primo tratto, quindi becco il sentiero che, superati due salti della valle, si porta nel centro. Inizia a piovere. Raggiungo la malga Pila (m 2020, ore 1:30) bello fradicio. Lì incontro due ragazzi di Chiavenna che volevano andare al Curò, ma dotati di sole scarpe da ginnastica, alla vista della neve al passo Pila si sono scoraggiati e hanno deciso di rinunciare. 
Loro divallano direttamente verso il lago Belviso, io seguito a vagare per tirar sera. Ha smesso di piovere.
Così dapprima seguo la direzione del passo Venano, nei pressi del quale sorge il rifugio Tagliaferri. Pochi minuti e incontro un marasso sibilante che prova più volte a modere la paperella della mia racchetta.
Poi, vedendo che il suo veleno non è efficace, si lascia portare su un sasso e scattare qualche fotografia.
Ai piedi del passo, quando è già visibile la bandiera del rifugio, devo cambiare i miei piani perchè diluvia di nuovo. M'incammino così a mezza costa in discesa seguendo il bel sentiero che attraversa la valle Piazzi, la valle del Batai, tocca il grasso del Batai e approda alla malga Demignone (m 1604, ore 2), dove giunge pure la strada.
Sono bei posti, tutti verdeggiati e con ottima vista sul lago Belviso, ma io sono così cotto che ogni 40 minuti mi fermo a dormire sui prati.
La strada, sempre più chiusa nei panorami, raggiunge e costeggia il lago, per scendere con qualche risvolta fino a ponte Frera (1386, ore 2).
Guardandomi in giro mi domando come possa sopravvivere una valle così bella a fianco di un posto tanto deturpato qual'è l'Aprica. Fortuna che esiste... la val Belviso.

Il lago Belviso.
Malga Fraitina (m 1698).
Malga Aial dei Fiori.
Il lago Nero.
Altra vista sul lago Nero all'alba.
Il lago Verde di Torena.
In vetta al Torena c'è una grossa cornice di neve.
Il lago di Pila dalla vetta del Torena.
I laghi del Torena dall'alto.
Il marasso sopra la malga Pila. Era lungo circa 40 cm e molto arrabbiato. 
I ruderi della baita al Grasso del Batai.
Monte Belviso e monte Gleno dal Grasso del Batai. 
La malga Demignone.


Uno dei numerosi e burrascosi immissari del lago Belviso.

domenica 16 giugno 2013

Laghi del Torena (m 2034 - m 2135)

Bagnetto al lago Nero. Sullo sfondo il versante N del monte Torena.

Una costellazione di laghi variopinti splende sulla dorsale che dalla maestosa vetta del monte Torena (m 2911) digrada verso Tresenda, dividendo la val Belviso dalla val Caronella. Luoghi incantevoli e di rara bellezza che in altre terre brulicherebbero di turisti, mentre qui sulle Orobie valtellinesi sono ben poco visitati.

Da San Giacomo di Teglio lasciamo la SS 38, superiamo l’Adda, e ci inerpichiamo sul fianco del monte grazie alla tortuosa rotabile che tocca alcuni fra i più caratteristici nuclei orobici. Ultimo di questi, a m 1163, è Carona, dove lasciamo l’auto e seguitiamo a piedi lungo la pista che, dopo Involt e Ronco, giunge a pra di Gianni (m 1335). Abbandonata questa direttrice, ci alziamo per sentiero lungo la dx orografica della val Caronella. Abeti, larici e distese incredibili di mirtilli ci portano fino ai pascoli della malga Dosso (m 1855). 
Fa un caldo terribile. Non vediamo l'ora di trovare una pozza per tuffarci dentro!
In cima ai prati ci portiamo sul versante della val Belviso, dove il grande invaso artificiale riempie tutto il fondovalle. La mulattiera corre (SSE) senza grandi dislivelli fin nei pressi della malga Lavazza, dove prendiamo la deviazione (dx, O) per la malga Torena. Contorcendosi verso N la via bollata supera i m 2000. Si notano chiari segni della vecchia linea militare Cadorna. Un cartello ci indica la breve variante per il lago Lavazza (m 2135). 
Qui incontriamo l'unica persona nella nostra giornata di escursioni: un pescatore che ci racconta di aver catturato una sola trota in tutta la giornata. Nel centro del lago c'è un iceberg che si sta lentamente sciogliendo. Il bagnetto si rivela piuttosto traumatico perchè l'acqua è gelida.
Mentre Mario pare a suo agio, io mi aggrappo alle rocce preso dai dolori del freddo nel raggiungere una specie di scoglio a 10 metri dalla riva. 
Ripresa la via principale, ci affacciamo alla conca erbosa che ospita gli altri laghi: dapprima il minuscolo lago dei Porcelli adagiato tra prati acquitrinosi, a cui segue il lago Nero (m 2034) con le numerose incisioni rupestri in corrispondenza del suo estuario e il singolare isolotto nel mezzo.
L'acqua è più mite, per cui qui ci tuffiamo tutti, per poi adagiarci sulle rocce levigate a riprender calore.
Riprendiamo la marcia verso la malga Torena, sopra la quale è il turno del lago Verde (m 2071, ore 4).
Particolarità di questo è che l'acqua esce da una specie di buco, per travasarsi attraverso un cunicolo in un laghetto minore a N di questo. L'acqua, quindi, filtra all'interno delle pietraie e sparisce.
Per la discesa, tornati indietro, dal lago Nero puntiamo a E e scendiamo per un bel sentiero che, oltre la Malga Fraina, si fa strada. Arriviamo in val Belviso a Ponte Frera. Da qui corro per oltre 10 km sulle strade carrozzabili fino a Carona. Il tutto per recuperare l'auto, i miei compagni e velocizzare il raggiungimento de La Cascata, il ristorante a Vendolo dove ci aspetta una bella grigliata di carne.


Malga Dosso.
La piccola pozza nei pressi di malga Dosso.
Data la calura, gli scherzi con l'acqua sono addirittura graditi.
L'estuario del lago Lavazza. 
Il lago Lavazza e il monte Lavazza. 
Lo scoglio del lago Lavazza. Mario ci arriva senza problemi, io invece, appena tocco l'acqua, mi arrampico svelto sulle rocce in preda ai dolori del freddo.
Il lago Nero col suo isolotto.
Assaggiamo la temperatura dell'acqua.
Ottima! .... bagnetto 
Il lago Nero da ovest.
Malga Torena.
Il lago Verde del Torena.