sabato 7 dicembre 2013

Badile Camuno (m 2435)

Dopo quasi un mese di astinenza ci voleva proprio: una bella vetta in Valcamonica dai colori chiari che si alza con una pala impressionante alle spalle di Breno e di Cimbergo: il pizzo Badile Camuno.

Il Badile Camuno e il castello di Cimbergo.

Mentre la salita estiva riserva solo una ferratina di poco impegno, d'inverno il discorso cambia radicalmente e si è costretti ad affrontare traversi gelati molto esposti e si ringrazia il cielo che le funi metalliche offrano protezione negli ultimi ripidi metri.

Noi siamo partiti da Paspardo, quindi su al rifugio Volano, da cui la parete N (dove passa la via normale) è evidente a dx. Giornata fredda e ventilata. Tempo di salita 5 ore, 2 e mezza per la discesa. Con neve: alpinistica AD, passi di III molto esposti. Catene a tratti sommerse dalla neve. Pericolo slavine nella parte alta.

Vi mostro solo alcune immagini, poi magari, in futuro, farò una relazione più dettagliata.

Il rifugio Volano e il gruppo del Tredenus.
Il Badile Camuno da O.
La Valcamonica e il Concarena dalle pendici del Badile Camuno.
Gli ultimi metri della ferrata per la vetta.
La roccia sporca di neve era come saponata.
L'esposizione è davvero forte.
Un lillipuziano bivacco costruito tra due guglie della cresta 300 metri sotto la vetta.
All'interno del bivacco.
Panoramica da O dell'edificio sommitale del Badile Camuno.
In discesa.
Tramonto sulla parete N del Badile Camuno.

giovedì 14 novembre 2013

Da Sondrio a Castione tra i vigneti della Sassella e dei Grigioni

Vigneti in località Ganda.

Un itinerario alle porte di Sondrio, all’apparenza banale e forse scontato, ma non è proprio così. Non bisogna lasciarsi ingannare dalla semplicità del percorso il quale, a un attento osservatore, esso rivela numerosi aspetti interessanti e non sempre di immediata comprensione. Tra questi, oltre agli evidenti contenuti storici, culturali e paesaggistici, evidenziamo in particolare quelli geologici e archeologici. Infine, ma non meno importanti, ricordiamo gli aspetti enogastronomici che numerosi si profilano lungo l’intero percorso.
Facile, adatto a tutti e a tutte le età, pensionati, casalinghe/i e studenti, dalle medie in poi sino all’università della terza età; percorribile in ogni stagione e con qualsiasi tempo atmosferico, si svolge interamente sui terrazzi del versante retico, perciò si sconsiglia nel pieno periodo estivo.


Partenza: Istituto Pio XII, Via Carducci, Sondrio (290 m slm).
Itinerario sintetico: Sondrio (via Carducci) – Sassella – Triasso – La Ganda – Castione centro.
Tempo di percorrenza: ore 4 per la sola escursione. Ritorno a Sondrio con bus di linea.
Dislivello complessivo in salita330 m.

Dettagli- Guide e carte; Gogna A., Miotti G. Guida Turistica della Provincia di Sondrio”, B.P.S. II edizione 2000 - U. Sansoni, S. Gavaldo, C. Gastaldi “Simboli sulla Roccia” Edizioni del Centro, 1999, Capo di Ponte (BS) – F. Monteforte “L’immagine della Sassella” in Notiziario BPS, n. 105, dicembre 2007 - Kompass n. 93 “Bernina – Sondrio” 1:50.000.  

Si parte direttamente dal centro di Sondrio, sia per evitare l’uso dei mezzi motorizzati, sia per ammirare le bellezze e vivere emozioni che taluni luoghi ancora suscitano nelle persone particolarmente sensibili. Passando per le vie del centro storico si attraversano le tre piazze principali, poi lungo l’antica via Valeriana prima, successivamente attraverso i terrazzamenti e le nude rocce della Sassella e dei Grigioni, nuove e intense suggestioni si profilano guardando all’orizzonte e sul fondovalle, purtroppo quest’ultimo pesantemente alterato dall’edificazione dissennata di capannoni. Non sono ovviamente questi ultimi che vogliamo acclamare, bensì quegli angoli dimenticati dagli interventi speculativi, in grado di farci sognare una vita sana, dai ritmi lenti e soprattutto più rispettosa dell’ambiente dal quale dipendiamo, fortunatamente, non solo per ricavarne denaro. La speranza è di ritrovare qui le nostre radici, quelle dell’albero che ostinatamente, noi sostenitori della rivista Le Montagne Divertenti, ma non solo, ci ostiniamo a “bagnare” nel tentativo di far sopravvivere, in altre parole la nostra cultura e la nostra identità di valtellinesi.

Itinerario
Suono della campanella alla scuola Pio XII (m 300 ca.); i ragazzi sono pronti, gli ultimi accordi col preside e ci incamminiamo verso N. Il meteo non promette bene e il cielo non lascia alcuna speranza. Fiduciosi nella sorte (acqua dalle 14), adottiamo il piano B che prevede il rientro col bus delle 13.30 da Castione. Imboccata via Piazzi, svoltiamo per piazza Campello. Tempo per due note sulla storia della piazza, sulla chiesa del Suffragio (demolita), palazzo Pretorio e poi giù per Corso Italia. Altra sosta in Piazza Garibaldi sulla quale prospettano importanti edifici ottocenteschi e il fantasma del teatro Pedretti. Ma il nostro sguardo punta alto verso Triangia e l’imponente convento di S. Lorenzo (sorto sulle fondamenta dell’antico castello di S. Giorgio) e la forra del Mallero.
Imboccata via Dante continuiamo diritti sino a Piazza Cavour (già Piazza Vecchia), in passato molto animata, sede del mercato cittadino e delle più importanti fiere. Attraversiamo il torrente Mallero e uno stop s’impone per rimirare il castel Masegra, i possenti argini realizzati solo dopo l’alluvione del 1834, il ponte levatoio a ricordo del disastro del 1987. Imbocchiamo via Romegialli, un tempo spina dorsale dell’antica contrada Cantone, ricca di edifici storici. In piazzetta Carbonera, entriamo al civico n. 4 del Palazzo omonimo (XVI sec.) per osservare l’interessante portico con volte a vela sormontato da logge ad archi e colonne dei due piani superiori. Prendiamo via De Simoni, quindi a dx (200 m) via E. Bassi al cui inizio s’impone la Cappella dell’Annunziata o Madonna della Rocca (1713), la prima di una serie di 15 dedicate ai Misteri del Rosario e che sarebbero dovute sorgere lungo la via Valeriana costituendo il “Sacro Monte della Sassella”, al quale i fratelli Francesco Saverio e Giovan Battista Sertoli dedicarono le loro energie all’inizio del ‘700. Dal rione di Cantone sino alla chiesa della Madonna della Sassella si sarebbe snodata la Via Matris della Vergine del Rosario, partecipe dei misteri dolorosi, gaudiosi e gloriosi di Cristo e della salvezza.. Ne vennero realizzate sei delle quali ne rimangono solo quattro.
Oltrepassiamo Largo Stella per continuare su via F. S. Quadrio sin dove attraversa la provinciale per la Valmalenco, quindi ci immettiamo su via Valeriana. Nei pressi di un’azienda vitivinicola, mentre guardiamo gli arditi terrazzamenti e la teleferica di servizio, un’anziana signora si avvicina e ci racconta di quando ancora molto giovane arrancava su quelle scalette per lavorare i vigneti. Dai suoi occhi traspare il piacere nel vedere tanti ragazzi unito a un pizzico di nostalgia dei bei tempi di gioventù. All’incrocio con via D. Lucchinetti, facciamo notare, sparsi tra gli ultimi prati, i resti del vecchio tiro a segno, muti fantasmi del periodo fascista (seconda metà degli anni ’30).
Dietro lo stadio, addossata a un rustico, incontriamo la seconda cappella, che priva di alcun dipinto, passa quasi inosservata.
All’inizio della salita per Triasso, la terza cappella pare contribuire al faticoso sostegno dei terrazzi soprastanti. Anch’essa di forma ottagonale, l’interno è vuoto. Al tornante, abbandoniamo l’asfalto e imbocchiamo l’antica via che tra i vigneti porta al santuario della Sassella. Saliamo gradatamente tra rocce lisciate e montonate dall’azione erosiva dei ghiacciai sui quali sapientemente i nostri antenati hanno costruito i muri dei terrazzi messi a vigna. L’Adda scorre sotto di noi, tra gli alti pioppi ai piedi del conoide di Albosaggia, ultimi resti dell’antica boschina. In una valletta poco prima del santuario incontriamo la quarta e ultima cappella, detta degli Apostoli (1713-14; forse disegnata da Pietro Ligari) e dedicata alla Pentecoste; le dodici statue lignee di G. B. Zotti, rappresentanti la Vergine e gli Apostoli recanti sul capo la fiammella dello Spirito Santo, per ragioni di sicurezza sono stati trasferiti al civico museo di Sondrio. Beno rallenta con un gruppetto per spiegare alcune regole della ripresa fotografica.
La chiesa della Madonna della Sassella (m 299), è chiusa, non possiamo ammirare gli affreschi di Andrea De Passeris (originario di Como, importante per i numerosi interventi in valle) che arricchiscono l’interno. Ci accontentiamo del bel panorama e della Torre della Sassella, parte di un progetto incompiuto del 1720 che prevedeva la sistemazione della piazza e la realizzazione di diversi fabbricati a uso deposito per le merci durante le fiere e i mercati. La piazza è stata dotata recentemente di pavimentazione idonea per accogliere i SUV che qui si radunano per le fiere dell’ostentazione.
Riprendiamo il cammino che inerpicandosi tra le case ci porta nei soprastanti vigneti. Una recentissima strada in cemento, come uno sfregio in viso deturpa la bellezza di questo luogo. Ma l’economia agricola reclama a gran voce interventi come questi a proprio sostegno!
Triasso, recuperiamo le forze presso la piazzola realizzata per chi frequenta la via dei terrazzamenti.
Poco avanti, l’odore intenso delle vinacce buttate come concime tra i filari di una vigna, offre motivo per parlare di vinificazione e torchiatura, già ricordi di gioventù per i meno giovani.
Terrazzi a picco sul fondovalle tra enormi massi e rocce affioranti, fazzoletti di terra risicati e sorretti da possenti muri a secco, panorama a 360 gradi sulle Orobie, dal Legnone sino al gruppo del Baitone, sono ottimi spunti per stimolare approfondimenti sulla bellezza del creato, sui concetti bello/brutto di talune opere dell’uomo.
Una breve deviazione ci conduce in località La Ganda (m 519) dove sulle rocce ai piedi di un rustico ammiriamo le incisioni rupestri considerate di maggior pregio storico ed estetico del circondario di Sondrio (oltre 80 figure tra antropomorfi, segni circolari e sistemi complessi di coppelle, attribuibili all’età del Bronzo medio-tarda). Un pannello nelle vicinanze ci aiuta alla lettura delle raffigurazioni.
Spuntino nei pressi della fontana dove è stata predisposta un’area picnic per i frequentatori della strada dei terrazzamenti. Attraversiamo un castagneto da frutto, altra sosta per parlare di questa coltura andata persa, della sua importanza nel recente passato, dei risvolti sociali ed economici che il suo abbandono ha comportato. Un campo appena arato, occasione per un altre considerazioni. Cerchiamo di interpretare presente e passato, così scopriamo che è un’altra vigna che se n’è andata, e con lei la sua storia. In lontananza si profilano l’abitato di Castione e le sue chiese. Il terrazzo panoramico in aggetto, con affacci orientati e pannello esplicativo, offre nuovi spunti per interpretare il territorio, le sue forme e il costruito. Non sfugge l’impianto del nuovo vigneto sottostante a giropoggio. Raggiungiamo il nucleo del paese e imbocchiamo la vecchia via acciottolata che, preceduta dalla fontana pubblica, scende ai luoghi di culto. Camminiamo cauti tra i vecchi edifici prospicienti stretti corti e collegati tra loro da trune e ballatoi. Visitiamo una vecchia cucina con focolare al centro del locale, senza camino, pochi arredi, ambiente tipico della famiglia contadina.
Giunti all’ossario prendiamo la duplice scala che ci immette nel piccolo sagrato della chiesa parrocchiale dedicata a S. Martino, in posizione dominante al centro del paese.
Sono quasi le 13 quando consumiamo il pranzo al sacco sotto le arcate del portico del settecentesco Oratorio dei Confratelli.
Alle 13.30 arriva giusto in tempo il bus di linea mentre si avvia velocemente la pioggia annunciata dalle previsioni meteo.
Sin qui tutto bene, non ci resta che darci appuntamento per la primavera prossima, stesso luogo, per concludere l’itinerario con la visita al mulino della Rosina a Vendolo e le Piramidi di Postalesio.


Una delle cappelle che avrebbe dovuto costituire il sacro monte della Sassella.
Rocce montonate alla Sassella. 
Il santuario della Sassella.

A Ganda.
Ganda. Nei pressi delle incisioni rupestri. 
Nei castagneti di Castione.
Il centro di Castione.
Il centro di Castione.
Spiegazioni sulle vecchie architetture valtellinesi.



giovedì 7 novembre 2013

Scorci di Valmalenco

Eccovi alcune foto in anteprima di un raid fotografico che ho fatto giovedì in Valmalenco in vista dell'articolo "Amianto e uva, sul versante sud del monte Motta" che uscirà sul prossimo numero della rivista. Gran bella giornata d'autunno.
Per la prima volta ho usato la mia nuova pentax K3. Obiettivi usati: 21mm e 50-135mm.

Buona visione!













martedì 5 novembre 2013

I sentieri del pane

Vigneti, castelli e contrade di Montagna in Valtellina
alla riscoperta di antiche tradizioni valtellinesi
Al castello di Mancapane in una splendida giornata d'autunno.

Partenza: Sondrio (m 300) - istituto Pio XII.
Itinerario automobilistico: -
Itinerario sintetico: Sondrio (m 300) - castel Grumel (m 494)- chiesa di Sant'Antonio - chiesa parrocchiale di San Giorgio (m 549) - ca Pain - ca Credé - ca Benedéc' (m 767) - ca Bungiàsscia  (m 893) - castello di Mancapane (m 909) - mulìn de ca Mazza (m 830 ca.) - ca Farinna - camp sant - Prada - risc di Mort - chiesa di San Giorgio - capitèl de Riva - Busciànic - Sondrio (m 300)
Attrezzatura richiesta: - 
Difficoltà/dislivello in salita: 1 su 6 / oltre 600 m.
Dettagli: T. Gita su sentieri senza difficoltà, ma talvolta non segnalati. Si consiglia di portarsi appresso una mappa.

Un semplice itinerario ad anello tra i terrazzamenti vitati e lungo i sentieri che collegano il fondovalle con il centro di Montagna in Valtellina e le sue frazioni alte. Una visita ad antiche strutture rurali: castelli, centri abitati, un mulino. Un percorso ideale per conoscere la coltivazione della vite e dei cereali, di questi ultimi principalmente segale e grano saraceno, come era praticata un tempo in queste contrade, dalla semina al raccolto, per concludere con la preparazione del pane, cotto nel forno a legna. Un tipo di agricoltura scomparsa, della quale possiamo venire a conoscenza tramite le testimonianze dirette degli ultimi contadini, ma anche con l’osservazione e tanta immaginazione.
Pensiamo che portare i ragazzi lungo un percorso a ritroso nel tempo possa dar loro la possibilità di capire, almeno in parte, come si svolgeva la vita agricola e sociale in Valtellina e come fosse legata al lavoro nei campi.
Conoscere le proprie tradizioni offre ai ragazzi la possibilità di identificarsi in una comunità: di sapere chi sono, da dove vengono. Conoscere in modo più approfondito il proprio territorio forse consentirà loro di imparare ad apprezzarlo.
L’escursione proposta, oltre ad avere un aspetto prettamente didattico, ha il merito di svolgersi in un ambiente naturale emozionante, a tratti avventuroso e mai pericoloso: si seguono sentieri tra i terrazzamenti coltivati a vite, si visitano antichi nuclei rurali, un mulino e un forno, si attraversano vallate selvagge e si raggiungono ben due castelli situati in posizione panoramica.
L’intento è quello di stimolare i ragazzi a una frequentazione intelligente e consapevole del territorio attraverso la sua osservazione e valorizzazione.



Il percorso

L’escursione inizia direttamente dall’istituto scolastico Pio XII a Sondrio. Da qui raggiunge la centrale dell’ENEL in località ca Bianca per poi salire attraverso i vigneti al castello De Piro al Grumello. Una sosta al muruné di S. Antoni, quindi si sale al centro di Montagna con l’interessante complesso chiesastico. Attraversata ca Paini (m 622), si sale a ca Credaro (m 700), ultima località di residenza invernale, proprio sul limitare della zona del vigneto. Oltrepassata la frazione, s’incontra una zona rocciosa, terreno da sempre incolto ove hanno modo di crescere spontaneamente solo piante termofile quali le querce. Un’antica cappella testimonia la profonda devozione della gente che qui sostava spossata per la salita e dai pesanti fardelli nelle gerle. Il sentiero, un tempo interamente selciato, continua fra antichi terrazzamenti oggi quasi completamente occupati dal bosco di robinie e cespugli di more, sino a ca Benedetti (m 767). Su questi terrazzamenti il clima consentiva la coltivazione dei cereali, principalmente segale, grano saraceno, mais, orzo e patate piantati con diligente rotazione.
Le residenze temporanee di ca Benedetti (m 767), ca Pavadri, e ca Bongiascia erano utilizzate in primavera e nel tardo autunno per consentire i lavori di apprestamento dei campi. Nuclei oramai costituiti da seconde case o ruderi, muti testimoni dell’operosità degli antichi abitanti, mentre diversi campi hanno lasciato il posto a prati da sfalcio. ca Bongiascia (m 893) è caratterizzata da case massicce sulla cui facciata meridionale si notano numerosi ballatoi in legno utilizzati per l’essicazione dei prodotti cerealicoli. Si prosegue in piano, e attraversato un piccolo affluente del Davaglione si raggiunge il culmine del dosso morenico ove svetta il castello di Mancapane (m 909). Dopo la fatica, una meritata sosta pranzo s’impone alla visita del castello. scendere verso il ramo del Davaglione dal quale è derivata l’acqua che aziona il mulino di ca Mazza-ca Zoia. Il torrente scorre incassato in una gola selvaggia e suggestiva; attraversato il ponticello in prossimità della presa, s’imbocca la scalinata che risale l’erta sponda e in breve si raggiunge il mulino. La visita dell’opificio è sicuramente interessante, soprattutto se a illustrarlo sono gli ultimi anziani che ancora lo utilizzano. Poco sotto sono i ruderi del “Mulino di Burtui”. Terminata la visita, si scende lungo il sentiero delle Piane (diretto) che tra enormi castagni abbandonati come antichi relitti nel bosco che incalza, giunge alle contrade di ca Vervio e ca Farina. Riattraversato il centro di Montagna si prende via Carasc, quindi il vecchio sentiero di Riva che inizialmente ripido e incassato tra alti muri scende verso Sondrio. Il percorso, che conserva ancora qualche tratto di acciottolato, termina poco dopo il “Capitel de Riva”. Si rasenta un luminoso castagneto da frutto al termine del quale la strada curva in direzione S. Imboccata la prima deviazione a destra (via Crocifisso) ci si immette su via Buscianico (dx) percorrendola sino ad incrociare la Panoramica in località Colda. Continuando lungo il marciapiede in breve si è di nuovo a Sondrio.

Le colture cerealicole e il territorio

Difficilmente, osservando il versante montuoso posto sopra l’abitato di Montagna in Valtellina, si riesce a immaginare come esso si potesse presentare fino agli anni Cinquanta. Sopra la fascia destinata ancora oggi al vigneto, infatti, il bosco ha progressivamente invaso e cancellato quello che fino ad allora era un vasto estendersi di terrazzamenti coltivati a foraggio e mais, tra i quali spiccavano i numerosi appezzamenti dal colore paglierino del grano saraceno o della segale. Sino ad una quota di mille metri circa il bosco era quasi assente, eccezion fatta per le zone dedicate a castagneto.
Segale e grano saraceno sono colture che ben si adattano a climi relativamente freddi d’inverno e asciutti d’estate, su terreni ben soleggiati ma poveri di sostanze nutritive, ove difficilmente il frumento giunge a maturazione. La farina di frumento era costosa, poiché doveva essere trasportata dalla pianura padana; così, nell’economia autarchica valtellinese, si sopperiva alla sua mancanza coltivando il grano saraceno, la segale e il mais. Questi cereali consentivano la preparazione di cibi ‘poveri’ ma sostanziosi quali pane di segale, polenta, pizzoccheri, un tempo necessari al sostentamento e oggi divenuti specialità gastronomiche (quasi come è avvenuto per la pizza nel meridione d’Italia).
La costruzione e il mantenimento dei terrazzamenti, ottenuti con l’erezione di muri a secco, aveva anche la funzione di preservare il territorio da frane e smottamenti che hanno interessato il Comune di Montagna dai tempi più remoti, come si evince da alcuni documenti Trecenteschi. L’irrigazione dei campi avveniva grazie all’acqua del Torrente Davaglione, che si poteva utilizzare a tale scopo solo di giorno poiché di notte doveva fornire la forza necessaria a muovere le pale dei numerosi mulini (pare che ce ne fossero 19 in tutto il comune) dislocati lungo il torrente stesso.

ca Mazza, m 830
Antica contrada tutta raccolta intorno alle strette viuzze, con volte, sottopassi e un’unica piazzetta. Purtroppo quasi tutte le case sono in rovina. Un sentiero che fiancheggia la modesta ma turbolenta Valle dell’Orco la collega in pochi minuti a ca Zoia, uno degli insediamenti stagionali appartenenti alla quadra di S. Maria (m 904).

ca Zoia

L’insediamento di ca Zoia, che rispecchia le caratteristiche tipiche del maggengo, era abitato dalla primavera all’inizio dell’inverno per poter attendere ad attività agricole molto importanti: la fienagione, la mietitura, la semina e il taglio della legna. Gli edifici appaiono essenziali nella loro architettura e sorgono abbastanza distanziati tra loro; numerosi alberi di noce occupano gli spazi pubblici. L’origine del villaggio è antichissima, attestata dal ritrovamento di una lastra in pietra recante inciso il nome di un nobile in caratteri etruschi, probabilmente risalente al I secolo a.C. La massiccia struttura di una casa, situata nella parte bassa dell’abitato, ricorda quella della casa-fortezza, con i bastioni a rinforzare gli spessi muri perimetrali. Una mulattiera comoda e pianeggiante porta al Mulino di ca Mazza-ca Zoia; la sua ampiezza ci dice quale importanza rivestisse per tutte le frazioni del circondario. Attraversato un bosco di enormi castagni si raggiunge l’opificio.

Il mulino di ca Mazza – ca Zoia

Il mulino, situato sul ciglio della Valle del Davaglione in località Le Piane di ca Mazza ad una quota di 890 metri circa, è un piccolo edificio a pianta quadrata, a un piano, con muri a secco e tetto a una falda. La costruzione è stata recentemente ristrutturata grazie al generoso contributo della Comunità Montana Valtellina di Sondrio; poco a valle esiste anche un secondo mulino, in disuso da molti anni.
L’acqua, tramite una canalizzazione in pietra a secco, è convogliata dal torrente a una breve condotta in legno (ricavata da un tronco scavato) che la fa precipitare sulla ruota del mulino. La ruota a pale è posta orizzontale in un vano seminterrato, e trasmette direttamente il movimento alla soprastante macina del mulino tramite un asse verticale. Il meccanismo a pala orizzontale è più semplice di quello a pala verticale, presente in altri mulini valtellinesi, perché elimina l’ingranaggio che serve ad innestare l’asse della ruota a pale su quello della macina. Nell’unico, piccolo locale si trova il mulino, costituito da:
una tremoggia – un grande contenitore di legno a forma di imbuto, sovrastante le macine dove viene versato il cereale da macinare;
una cazzòla – che regola il flusso di grano da far cadere sulle macine. Con un semplice ma ingegnoso sistema, un battente percuote la tremoggia facendo passare il grano dalla cazzola;
le macine - compongono la parte essenziale di questo opificio e sono costituite da due grandi ruote in pietra, delle quali la superiore ruotante e l’inferiore fissa. Il movimento rotatorio dell’una sull’altra consentiva la macinatura del prodotto. La distanza tra le due macine al centro era di pochi millimetri e diminuiva man mano che si andava verso l’esterno; così durante il movimento della macina ruotante i chicchi, per forza centrifuga, si spostavano verso l’esterno, venendo triturati e ridotti in farina;
il cassone – il cereale macinato, tramite una scanalatura, cade in un cassone di legno. A seconda della complessità del mulino esistono diversi sistemi per filtrare la farina: dalla bürata, che serve per raccogliere la farina più fine e tutti i suoi sottoprodotti in diversi scomparti, ai setacci a mano.
Il mulino non doveva mai funzionare a vuoto in quanto le macine avrebbero potuto danneggiarsi compromettendo così la lavorazione del cereale. Nel periodo estivo i mulini del comune di montagna funzionavano di notte, poiché di giorno l’acqua serviva all’irrigazione dei campi; d’inverno, invece, non essendoci necessità irrigue e data la scarsa portata d’acqua del Davaglione, i mulini potevano funzionare giorno e notte.
Alcuni mulini erano di proprietà di più famiglie che si alternavano giornalmente al loro funzionamento macinando la propria farina. Nel caso dei mulini privati era il mugnaio, soprannominato mulinè, a macinare il raccolto dei contadini della zona. Se il contadino non aveva la possibilità di pagare in denaro il lavoro lui eseguito, questi tratteneva una piccola parte del macinato, detta multura. Per intenderci, su un quintale di grano macinato il mugnaio tratteneva dai cinque ai dieci chili di farina a seconda della difficoltà della macinatura. La segale, ad esempio, richiedeva una fase di lavorazione più lunga avendo chicchi più duri.

Il castello di Mancapane

<<Un antico rudere naufragato nel bosco, un recinto fatto da mura sgretolate e sbrecciate, una torre severa>>.
Mancapane è uno dei più notevoli monumenti valtellinesi e uno dei più tipici esempi di castello-recinto dell’arco alpino. La mancanza di documenti probatori non permette una datazione precisa; dall’analisi del manufatto, le sue origini sembrerebbero risalire alla seconda metà del XIII secolo. La struttura sembra già annunciare lo schema più tipico del castello lombardo: a pianta quadrata, con cortile interno e una sola torre al centro.
Il nome non deriverebbe da un lungo assedio, durante il quale agli occupanti sarebbe appunto venuto a mancare il pane, ma dalla storpiatura di Catapani, antico nome che designava la famiglia dei Dè Capitanei.
“Mancapane” è situato al sommo di un poggio morenico lambito da due rami del Torrente Davaglione, nei pressi di ca Bongiascia. Posto in posizione ideale per l’avvistamento e la segnalazione di eventuali nemici, esso domina il sottostante Castel Grumello e un lungo tratto dell’Adda e della media Valtellina lungo la quale, sulla sponda orobica, era in contatto visivo con altre torri di segnalazione (a Faedo, Albosaggia, ecc.). Secondo una credenza popolare Mancapane era collegato al Castel Grumello tramite un lungo cunicolo.
A differenza del castel Grumello – De Piro, che svolgeva anche funzioni abitative, Mancapane serviva unicamente per avvistamento e segnalazione; tutt’al più avrebbe fornito un temporaneo rifugio a persone, bestiame e merci nel caso di improvvise incursioni nemiche.

La preparazione e la cottura del pane

Al termine della catena produttiva della coltivazione di segale e grano saraceno, che comprende le operazioni della semina, della mietitura, della trebbiatura, della pulitura, dell’essicazione, della macinazione, vi è la preparazione del pane. Un tempo ogni famiglia nella propria casa aveva un forno, con il quale cuocere autonomamente il pane. Il pane bianco di frumento veniva preparato solamente nelle feste maggiori, Natale, Pasqua, Corpus Domini. Per il resto dell’anno era prevalentemente di farina di segale, che poteva anche essere miscelata con farina di grano saraceno o mais. La panificazione avveniva poche volte l’anno, sicché le pagnotte venivano consumate prevalentemente secche.

Il lievito necessario per panificare era ottenuto facendo fermentare i resti, lasciati di proposito, dell’impasto della panificazione precedente, i quali venivano conservati con un pizzico di sale e mantenuti in luogo fresco. Il mattino presto le donne impastavano la giusta dose di lievito, di farina e di acqua tiepida salata entro una cassa detta panera. La pasta veniva poi lasciata lievitare per almeno tre ore prima di essere trasformata in pagnotte, successivamente disposte su delle assi in attesa di essere infornate. Il forno veniva acceso con i tralci della vite, i vidisciun, poi bisognava attendere che raggiungesse la giusta temperatura, intuibile dal colore assunto dalle mattonelle al suo interno. Il pane veniva messo a cuocere per circa un’ora e mezza. Insieme al pane venivano infornati anche alcuni semplici biscotti dolci, riservati agli anziani a ai bambini. Preparare il pane in casa era un’arte difficile: bisognava saper far bene il lievito, miscelare le giuste parti di lievito, farina e acqua, rispettare i tempi di lievitazione e di cottura, capire la giusta temperatura del forno.

Turbina Pelton ad asse verticale - Sondrio - centrale ENEL.
La ca Rossa, su un poggio panoramico a O del castel Grumello.
Vigneti del Grumello.
La chiesa di San Rocco posta accanto al castel Grumello.
Il castel Grumello, corpo occidentale.
La torre orientale vista da quella occidentale del castel Grumello.
La chiesa di San Giorgio. 
La gesa di Mort.
Al capitello sopra ca Credé.
Vista su San Giovanni.
Ca Bongiascia.
Il castello di Mancapane.
La scala di accesso alla torre.
Enrico Menegola spiega ai ragazzi il funzionamento del mulino di ca Mazza.

domenica 3 novembre 2013

Dammastock (m 3630), Schnestock (m 3608), Eggstock (m 3556) - Alpi Urane - Svizzera


DAMMASTOCK (m 3630)


La vetta del Dammastock (m 3630), punta sommitale delle Alpi Urane, vista dalla vetta del Schnestock (m 3608).

Data : 1° Novembre 2013

Partenza : Parcheggio del Belvedere (m 2270 circa) due km circa oltre il passo Furka ( Nei mesi autunnali il passo solitamente rimane chiuso da dopo il tramonto fino al mattino e nel periodo invernale rimane totalmente chiuso al transito ).
Dislivello : 1400 metri per il solo Dammastock. 1500 metri per il concatenamento delle 3 vette. ( In caso di scarso innevamento potrebbe essere necessario aggirare parte del ghiacciaio e aggiungere 50 -100 metri di dislivello per breve risalita e discesa ).
Tempo :  5 ore per il Dammastock - 6 per il il concatenamento delle cime. ( In caso di scarso innevamento i tempi potrebbero dilatarsi, sopratutto per la discesa ).
Difficoltà : BSA ( In presenza di buon innevamento e ghiacciaio coperto la salita al Dammastock rappresenta una lunga traversata su ghiacciaio priva di grosse pendenze ( max 25° solo nel tratto finale ).
Il concatenamento con Eggstock e Schnestock riservare qualche breve e facile tratto alpinistico per il raggiungimento della vetta.
Attrezzatura : kit antivalanga, imbraco. Per sicurezza, soprattutto per Eggstock e Schnestock, potrebbe essere consigliabile portare i ramponi.



                                   La Traccia gps per gentile concessione di Giovanni Rovedatti.


Essendo dei malati di scialpinismo abbiamo deciso di sfruttare gli ultimi giorni di apertura del passo Furka in Svizzera per affrontare questa gita che normalmente viene affrontata a Giugno alla riapertura estiva del passo.
Si tratta di una gita dal grande sviluppo, data la bassa pendenza del ghiacciaio, e ottima soddisfazione, soprattutto se si affronta il concatenamento con le vicine cime- Queste assieme al Dammastock ( vetta principale delle Alpi Urane ) creano la propaggine Nord di questa catena rocciosa che si presenta a Est come una imponente bastionata rocciosa, mentre a Ovest ospita il ghiacciaio del Rodano.


La bastionata rocciosa Est del gruppo del Dammastock vista dal Sustenhorn.
Da sinistra: Galenstock, Tiefenstock, Rhonestock, Dammastock, Schnestock, Eggstock.

La giornata non era partita decisamente bene.
Tempo uggiosa e grigio, con velature alte e nuvole e leggera brezza di vento.
Neve completamente assente nella parte iniziale del ghiacciaio.
Se non avessimo affrontato ore di auto per giungere fino a qui, confesso che forse l'idea di lasciar giù sci e scarponi e andare a fare una passeggiata avrebbe potuto avere il suo perchè.
Infatti dopo aver aggirato il piccolo ristoro, aperto solo in estate, e aver raggiunto, perdendo leggermente quota l'attacco del ghiacciaio l'unica cosa bianca erano i teli per coprire il ghiacciaio....oltre i quali un mare grigio si presentava ai nostri occhi. Una volta raggiunto il ghiacciaio tutto sommato l'assenza di sassi e di crepacci aperti ci ha confortato e abbiamo da subito calzato gli sci attraversandolo tenendoci tendenzialmente sulla parte destra e aggirando di volta in volta alcuni avvallamenti di ghiacciaio. La pendenza qui è molto bassa e lo sviluppo molto


Giunti a questo punto ( m 2550 circa ) abbiamo deciso di portarci tutto sulla destra verso la parete rocciosa per evitare la seraccata, che comunque pareva facilmente superabile.
Abbiamo quindi affrontato un tratto a piedi con una breve discesa e risalita fino a giungere nuovamente all'attacco del ghiacciaio ( m 2700 circa ) che da qui in poi si presentava ben innevato.
Fondo duro coperto da alcuni centimetri ( dai 3 ai 10 in vetta ) di neve fresca.
Abbiamo ripreso dunque quindi il ghiacciaio che pure nella parte alta si presenta sempre con bassa pendenza e all'apparenza infinito....effetto aumentato dall'assenza di luce diretta del sole tanto che da farci sembrare di essere in un deserto bianco.
La via è molto intuitiva dato che si segue la conformazione del ghiacciaio sempre tenendosi nella parte centrale dello stesso. Solo superata la quota dei 3100 metri circa il Dammastock con la sua croce di vetta diventa visibile, mentre alle nostre spalle il panorama si apre sempre di più e l'alta quota assieme alle velature creavano dei fantastici effetti cromatici, che verso il tramonto andranno poi a intensificarsi, ripagando noi fotografi.


Sullo sfondo svettano il Finsteraarhorn (m 4274) a sinistra assieme alle altre vette dell'Oberland.

A questo punto abbiamo deciso di continuare a procedere nel centro del ghiacciaio invece che iniziare a portarci verso il Dammastock, con l'intento di concatenare le cime che assieme ad esso compongono la catena rocciosa che racchiude la parte orientale del ghiacciaio.
Raggiungiamo così l'anticima dell'Eggstock da cui è visibile il resto del nostro percorso.


La vetta dell' Eggstock la si può raggiungere risalendo le roccette della parete Ovest oppure più agevolmente aggirandolo dal lato Sud, non visibile.

     Panorama 360° dall'Eggstock.

Da qui aggirando l'anticima del Schnestock se ne raggiunge facilmente la successiva vetta da cui si gode un magnifico panorama sul Dammastock.


Raggiungiamo quindi con gli sci ai piedi il Dammastock e la croce di vetta


Da qui senza ulteriori indugi, mettiamo gli sci e giù per la parete Ovest in bella neve e pendenza ottimale....



  Un ultimo sguardo verso il panorama con il Cervino che svetta inconfondibile all'orizzonte retroilluminato dalla luce del tramonto che si avvicina.


Poi giù veloci a riprendere la pancia del ghiacciaio con la pendenza che via via diminuiva fino a spianare decisamente nella parte terminale della parte alta del ghiacciaio. La neve rimaneva ottima e solo la visibilità non ottimale guastava un pò le nostre lievi serpentine.
Togliamo di nuovo gli sci per un breve tratto ripercorrendo l'itinerario di andata fino a riprendere la parte bassa del ghiacciaio dove sciamo su fondo ghiacciato e saltellando tra i vari avvallamenti del ghiacciaio.

E ora che anche il passo dello Stelvio chiude...speriamo che l'attesa della POLVERE duri poco....